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Autore: VStrategy

Dietro le quinte del marketing: Ads Specialist edition

Avete mai cliccato su un annuncio online e vi siete chiesti come sia finito lì proprio mentre stavate cercando quel prodotto? Dietro ogni clic c’è un esercito di professionisti, tra cui l’Ads Specialist. Ma cosa si nasconde dietro questa professione che sembra fatta di numeri, dati e parole chiave?

Il mito dell’annuncio magico di un Ads Specialist: tra clic e Quality Score

C’è un malinteso comune: molti pensano che basti creare una campagna Google Ads e automaticamente gli utenti inizieranno a cliccare sui vostri annunci e a convertire. Sbagliato! È come pensare che basti appendere un cartello fuori da un negozio per vedere la fila fuori dalla porta.

Google, con il suo saggio algoritmo, ha un modo tutto suo per valutare le vostre campagne di advertising: il Quality Score. È un po’ come il voto che prendete a scuola: se siete bravi e preparati, il voto è alto, se no… beh, sappiamo già come va a finire. Il Quality Score si basa su tre fattori principali: la pertinenza degli annunci, la qualità delle pagine di destinazione e la frequenza con cui gli utenti cliccano sui vostri annunci.

In pratica, Google vi chiede: “Ma voi sapete davvero quello che state facendo?”.

Il Quality Score di Google quando non avete fatto i compiti

Ecco perché quando un cliente pensa “mi basta una campagna di advertising che mi porti traffico sul sito e il gioco è fatto”, l’advertising specialist pensa: “ci risiamo”.

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Perché qualsiasi campagna Google Ads arriva solo alla fine di un lavoro di team tra: il nostro sopracitato e fidato Ads Specialist, il web e UX designer e il grafico. Perché tutto il team di marketing deve lavorare assieme per assicurarsi che tone of voice, esperienza sul sito, copy della pagina di destinazione e dell’annuncio siano conformi a quanto richiede Google.

Meta Ads: creatività al potere

Su Meta, la situazione si fa un po’ più artistica

Un tempo, su Meta potevate creare dei target così precisi che sembrava di leggere nel pensiero degli utenti. Oggi, le cose sono cambiate un po’: l’algoritmo di Meta è diventato più intelligente e si affida sempre di più alla creatività degli annunci per capire a chi mostrarli. In pratica, le vostre immagini e i vostri testi diventano dei veri e propri insegnati per l’algoritmo, dicendogli: “Guarda, a queste persone potrebbe piacere questo prodotto!”.

Per questo adesso più che mai dovete avere testi, immagini o video che siano pensati attentamente per il vostro target. Se così non fosse, Meta mostrerà le vostre inserzioni a utenti che sono fuori target e avrete buttato via i vostri soldi.

Ma questo cosa significa?

Significa che se create degli annunci con creatività e copy vaghi, Meta non saprà che pesci pigliare e lo mostrerà a degli utenti a caso. Al contrario, se create degli annunci creativi e ben focalizzati andando a specificare esigenze e necessità del vostro target, Meta li mostrerà ad un pubblico interessato.

E no, non fate i furbi: non credete che basta una vostra foto in doppio petto su una inserzione di Instagram per farvi passare per manager o avvocati di successo. Gli utenti ormai hanno visto talmente tante inserzioni sui social di Zuckerberg che sono assuefatti, stanchi, esausti delle solite immagini trite e ritrite, dei soliti modelli abusati.

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Anche qui infatti per far funzionare una campagna pubblicitaria è ancora una volta fondamentale che i diversi elementi della vostra agenzia marketing lavorino assieme facendo:

  • Un brainstorming sulle soluzioni visive disponibili a partire dalla vostra visual identity aziendale.
  • Creino un template replicabile e variabile per tutta la durata supposta della campagna.
  • Diano sfogo alla propria creatività tenendo in conto che più lunga sarà la campagna su Facebook o Instagram, più creatività serviranno (SPOILER: una creatività non è per sempre su Meta, va aggiornata continuamente).

L’algoritmo non perdona

L’algoritmo non guarda in faccia nessuno, che si tratti dell’algoritmo di Google o di Meta. Purtroppo tutti noi continueremo a vedere copy sciatti di Google Ads che non invoglierebbero a cliccare nemmeno la madre supportive dell’Ads Specialist. E probabilmente ci appariranno per ancora molto tempo inserzioni su Facebook e Instagram con grafiche che sembrano uscite fuori da MS Paint.

Ma l’algoritmo davvero non guarda in faccia nessuno: ads così sciatte fanno sprecare soldi e tempo. Per questo consigliamo sempre a qualunque azienda che sta pensando di iniziare a fare pubblicità online di NON improvvisare. Contattate una azienda di marketing qualificata (magari date un’occhiata ai nostri servizi qui).

I 3 management tool per un rientro senza stress

Se siete imprenditori, professionisti, marketer o appassionati del settore, affrontare il rientro in modo organizzato è fondamentale per mantenere alta la produttività e la motivazione, specie quando si lavora in team (ne sappiamo qualcosa).

Settembre è infatti il mese dei nuovi inizi: dopo settimane di meritato relax e un’agenda finalmente vuota, è il momento di riaccendere i motori e rituffarsi a capofitto nel lavoro con rinnovata energia.

Ma il rientro dalle ferie può trasformarsi rapidamente in una sfida: ritrovare la concentrazione, organizzare le idee e riprendere il filo da dove lo si aveva lasciato può sembrare un’impresa più che titanica.

Per questo, abbiamo raccolto qui i tre management tool chiave che possono aiutarvi a riprendere il ritmo in modo rapido e rilanciare il vostro business e le vostre attività, individuali o di squadra, con una marcia in più.

Iniziamo.

1. Miro: la lavagna digitale per l’organizzazione visiva e creativa

Miro è una lavagna digitale interattiva progettata per facilitare la collaborazione in tempo reale e il lavoro creativo individuale o tra i membri di un team. È uno strumento molto versatile che consente di organizzare idee, pianificare progetti e svolgere brainstorming in modo visuale e interattivo.

Con Miro, potete creare infiniti canva digitali dove aggiungere note adesive virtuali, testi, immagini, diagrammi di flusso e mappe concettuali. Questa funzionalità lo rende perfetto per riunioni di brainstorming, sessioni di pianificazione strategica, design sprint e tanto altro.
Ogni membro del team può infatti contribuire al canva in tempo reale, permettendo una collaborazione fluida e dinamica, indipendentemente da dove si trovino fisicamente i vostri colleghi.

Dai modelli di business alle mappe mentali, Miro offre anche una vasta gamma di template predefiniti, che possono aiutarvi a impostare rapidamente la progettazione e la pianificazione degli ultimi mesi dell’anno. Grazie alle sue funzionalità di votazione, timer per le attività e integrazioni con altri strumenti, tra cui Slack, Jira, e Google Drive, Miro è la scelta ideale per coloro che desiderano migliorare la loro collaborazione creativa e organizzativa.

2. Evernote: un vero e proprio assistente personale

Evernote

Il rientro dalle ferie significa anche dover riordinare le idee e pianificare le prossime strategie da attuare. Evernote è un’app perfetta per questo scopo, specialmente se avete la mania di lasciare continuamente post-it in giro. Si tratta di un vero e proprio assistente digitale che vi permette di prendere appunti, organizzare idee, salvare articoli e documenti importanti, e creare le vostre to-do list in un’unica dashboard.

È uno strumento particolarmente utile per tutti coloro che vogliono mantenere tutte le informazioni rilevanti in un unico luogo accessibile da qualsiasi dispositivo. Grazie alla sua funzione di ricerca avanzata, potete trovare facilmente appunti, immagini e documenti salvati, anche se non siete in ufficio. Inoltre, l’app permette di condividere taccuini e note con collaboratori, facilitando le vostre fasi di brainstorming e di pianificazione strategica, ideale per tenere in un unico posto i vostri appunti sulla prossima campagna pubblicitaria su LinkedIn.
Una risorsa davvero pratico per avere sempre sotto controllo tutte le vostre idee e ispirazioni, aiutandovi a riprendere il vostro flusso di lavoro con chiarezza e direzione (ed è anche in promozione!).

3. ClickUp: per gestire il lavoro in maniera flessibile

ClickUp

Un altra risorsa straordinaria per l’organizzazione del workflow è ClickUp, la piattaforma di gestione del lavoro che offre una vasta gamma di funzionalità personalizzabili.
Si tratta di un tool di project management che combina sapientemente la gestione delle attività, la documentazione, il tracciamento del tempo e comunicazione del team, il tutto in un’unica interfaccia semplice e rapida da usare.

Una delle sue caratteristiche principali è la flessibilità: ClickUp consente agli utenti di creare viste personalizzate per ogni progetto, come liste, bacheche Kanban, calendari e diagrammi di Gantt. Questo significa che potete adattare la piattaforma alle vostre esigenze specifiche, che voi stiate gestendo un progetto complesso o semplicemente organizzando le vostre attività di lavoro quotidiane.

Uno dei punti di forza anche di questo management tool è invece l’interoperabilità: ClickUp offre integrazioni con una vasta gamma di altri strumenti, tra cui Slack, Google Drive e Trello, rendendolo un hub centrale per tutte le vostre esigenze di organizzazione e gestione del lavoro. Uno strumento ideale per imprenditori e marketing team che sono alla ricerca di un modo più dinamico e integrato per gestire il proprio gruppo di lavoro e i propri progetti.

Il rientro dalle ferie per alcuni può essere un’esperienza stressante, ma con i giusti strumenti è possibile organizzare il lavoro in maniera più efficace, migliorare la gestione delle idee e dei progetti, e mantenere il focus sulle priorità.

E adesso che sapete con quali strumenti trasformare il vostro workflow quotidiano, non vi resta che iniziare la nuova stagione lavorativa con la dose giusta di energia e ispirazione. Perciò, gambe in spalla e buon lavoro!

Guida al Data Driven Marketing B2B per la transizione digitale

Il successo non è più una questione di intuizione ma di dati.
Oggi, per le aziende business-to-business, adottare una strategia data-driven non è solo un’opzione, ma una necessità imperativa per emergere e prosperare nel medio e lungo termine.
Integrando strategie basate sui dati, le aziende possono non solo perfezionare le proprie tattiche di marketing, ma anche massimizzare il ritorno sugli investimenti e adattarsi alle dinamiche di mercato in continua evoluzione. Il Data Driven Marketing, quindi, non è solo una tendenza: è la chiave per raggiungere e superare gli obiettivi di business, soprattutto con l’avvicinarsi del Q4.

B2B: perché un approccio data based è essenziale?

Marketing Data Driven B2B

Il Data Driven Marketing (ve ne avevamo già parlato qui) offre una visione chiara e dettagliata dei comportamenti dei clienti, delle tendenze di mercato e delle prestazioni delle campagne, dal momento che le decisioni di acquisto, tipiche del settore B2B, sono in genere complesse e coinvolgono un numero maggiore di stakeholder e processi di approvazione.

Un approccio basato sui dati può permettervi di:

  • anticipare in maniera oculata e strategica le esigenze dei vostri clienti;
  • personalizzare le vostre offerte e attività di follow-up;
  • ottimizzare al meglio le risorse aziendali per ottenere il massimo impatto e risultato.

Il Data Driven per la transizione digitale

La transizione digitale nel B2B non riguarda solo l’adozione di nuove tecnologie, ma anche un cambiamento culturale e strategico che pone i dati al centro delle decisioni aziendali. Ecco dunque che le aziende B2B possono servirsi di un approccio data driven per assecondare e accelerare la loro transizione digitale.

Migliorare la conoscenza e la segmentazione del target cliente

Assecondare la transizione digitale nel B2B richiede anche il saper comprendere in maniera profonda i clienti e le loro esigenze. Utilizzando un approccio data driven, le aziende possono raccogliere e analizzare una vasta gamma di dati provenienti da diverse fonti (CRM, social media, sito web, e-mail marketing, ecc.) per creare profili dettagliati dei clienti e segmentarli in modo acnor più dettagliato e preciso. In questo modo, le aziende sono in grado di offrire esperienze personalizzate, migliorare la soddisfazione dei clienti e aumentare la loro fedeltà.

Ottimizzare l’esperienza digitale del cliente

Un approccio data driven permette alle aziende B2B di ottimizzare l’esperienza digitale del cliente, migliorando la navigabilità del sito web, la facilità di utilizzo delle piattaforme digitali e la qualità dei contenuti offerti. Analizzando i dati sul comportamento degli utenti, le aziende possono identificare i punti di attrito nel customer journey e apportare le opportune modifiche al fine di migliorare l’esperienza cliente complessiva.

Integrare una visione omichannel

La transizione digitale implica spesso l’adozione di una strategia omnicanale, in cui tutti i touchpoint fisici e digitali con il cliente – dal sito web, social media, email agli eventi fisici ecc. – sono integrati e offrono una customer experience coerente. Un approccio data driven consente alle aziende B2B di tracciare il percorso del cliente attraverso questi canali, raccogliendo dati che possono essere utilizzati per affinare ulteriormente le strategie di marketing.

Accrescere il valore percepito da buyer e stakeholder

Il valore percepito dai vostri clienti è strettamente correlato alla personalizzazione e alla rilevanza delle vostre offerte.
Utilizzare i dati per creare contenuti e messaggi altamente personalizzati vi aiuta a migliorare l’esperienza del cliente e a costruire con i vostri buyer e stakeholder relazioni più solide e durature. Ad esempio, un’azienda che analizza i dati di navigazione dei visitatori del sito web può creare esperienze di contenuto personalizzate che rispondono esattamente alle loro esigenze e interessi.

Un consiglio? Implementate un sistema di marketing automation che sfrutti i dati sul comportamento dei vostri clienti per inviare messaggi tempestivi e pertinenti in grado di aumentare notevolmente il tasso di conversione.

Data Driven Marketing e Q4

L’approccio data driven è fondamentale per le aziende che operano nel settore B2B, specialmente in vista dell’ultimo trimestre dell’anno. Questo periodo è infatti cruciale per le aziende poiché rappresenta l’ultima occasione per raggiungere gli obiettivi annuali di vendita, ottimizzare le strategie di marketing e prepararsi in maniera adeguata all’anno successivo.

Ecco dunque che un approccio basato sui dati può essere particolarmente utile per:

1. Pianificare in modo accurato le vendite

Confrontando i dati storici e quelli relativi alle previsioni e tendenze di mercato, le aziende possono prevedere con maggiore precisione le opportunità di vendita e pianificare strategie di marketing più efficaci per l’ultimo trimestre dell’anno. Si tratta di un’operazione fondamentale perché le decisioni di acquisto, specie nel B2B, possono avere cicli più lunghi e complessi rispetto a quelle B2C.
L’analisi predittiva basata sui dati permette di identificare i clienti più propensi all’acquisto e di incentrare gli sforzi di marketing su questi target specifici.

2. Gestire in maniera ottimizzata il funnel di vendita

Il Q4 è spesso un periodo frenetico per la chiusura delle vendite. Utilizzando i dati, le aziende possono gestire in modo più efficiente il loro funnel di vendita, identificando i prospect che sono più vicini alla conversione e concentrando i propri sforzi e risorse proprio su questi contatti. I dati possono inoltre aiutare a identificare e rimuovere alcuni ostacoli che potrebbero rallentare il processo di vendita, migliorando così il tasso di conversione.

3. Migliorare la customer retention

Nell’ultimo trimestre, oltre a concentrarsi sulla chiusura delle nuove vendite, è essenziale che le aziende coltivino i già clienti. Un approccio basato sui dati consente di identificare opportunità di upselling e cross-selling, basate su comportamenti e bisogni attuali dei clienti. Le aziende possono sfruttare l’analisi dei dati per segmentare i clienti esistenti e proporre loro prodotti o servizi complementari, migliorando il valore e il Customer Lifecycle a lungo termine.

Investire nei giusti strumenti e competenze per raccogliere, analizzare e interpretare i dati sarà determinante per il successo a lungo termine.

Volete scoprire come implementare una strategia data driven su misura per la vostra azienda?
Contattateci per una consulenza personalizzata e iniziate a trasformare i vostri dati in vantaggi concreti.

Parigi 2024: le 3 campagne che hanno lasciato il segno

Mentre il sipario sta per abbassarsi su Parigi 2024, abbiamo pensato di racchiudere e analizzare all’interno di questo articolo le 3 campagne pubblicitarie che si sono distinte per aver emozionato e conquistato il pubblico.

I Giochi Olimpici, di per sé, sono un palcoscenico globale di celebrazione e competizione, ma alcuni brand hanno saputo trasformare meglio di altri quest’occasione in un’esperienza indimenticabile, conquistando il pubblico attraverso narrazioni di marca autentiche e audaci.

Ogni campagna ha celebrato l’evento olimpico, ma alcune hanno saputo emergere con una forza e una creatività che le hanno rese memorabili agli occhi del pubblico.

Scopriamole insieme.

#1 Powerade: il potere della resilienza

Dopo la campagna e l’iniziativa di placed-based marketing di Omega di cui abbiamo parlato sui nostri social, a conquistare il primo posto è Powerade.

La sua campagna “The Valut” è l’esempio brillante di come il marketing possa intrecciarsi con la narrazione emozionale per creare un messaggio autentico e potente. Per le Olimpiadi di Parigi 2024, Powerade ha scelto come sua ambasciatrice una protagonista d’eccezione, capace di rappresentare appieno i valori di forza e perseveranza del brand: Simone Biles.

Il fulcro della campagna è l’idea che la vera forza non proviene solo dalla preparazione fisica, ma anche dalla capacità di affrontare e superare le sfide mentali. L’atleta Simone Biles, nota per la sua apertura riguardo le sue battaglie con la salute mentale, mette in evidenza quanto sia cruciale il benessere psicologico per le performance atletiche. La campagna mette in luce come anche gli atleti d’élite debbano fare i conti con il proprio stato mentale e come il supporto, come quello offerto da Powerade, può fare una differenza sostanziale.

Tornando a noi, la scelta di Simone Biles, una delle atlete più emblematiche e rispettate del panorama sportivo mondiale, amplifica ulteriormente il messaggio, conferendo credibilità e ispirazione alla campagna. La pubblicità dunque non solo promuove Powerade, ma celebra anche il percorso dell’atleta, creando un legame emotivo con gli spettatori e posizionando il brand come alleato nella ricerca del proprio potere personale e nella conquista dei propri obiettivi.

https://www.youtube.com/watch?v=5OMKmJ9onhE

#2 Nike: Winning Isn’t For Everyone

In occasione delle Olimpiadi di Parigi 2024, Nike ha sorpreso tutti con la campagna “Winning Isn’t For Everyone”, un capolavoro che sfida e va oltre il concetto tradizionale di successo. Il video, crudo e coinvolgente, ci trascina nel cuore della lotta e della determinazione dei campioni, rivelando che la vera vittoria va ben oltre le medaglie e i trofei. Il video inizia con immagini potenti di battaglie personali, mentre la voce narrante scuote le certezze comuni, affermando che il trionfo non è per tutti. Nike ha creato un’epopea di resilienza e autenticità. Non è solo una pubblicità, è una precisa dichiarazione di intenti.

Il brand non si limita a vendere scarpe da corsa e articoli sportivi; celebra il viaggio epico di ogni atleta, l’arduo cammino verso la crescita e la forza interiore. Con questo spot, non solo rafforza il suo posizionamento di leader del mercato, ma ispira una riflessione profonda sul vero significato del successo. La campagna trasforma ogni sfida in un trionfo e ogni fallimento in un passo verso la grandezza, confermando il potere del brand di narrare storie che risuonano e motivano.

Lo spot ha suscitato sin da subito dibattiti contrastanti e (parecchio) scalpore da parte di alcuni per via della visione quasi “elitaria” legata al mindset dei campioni: privi di empatia, ossessionati dalla vittoria, egoisti.

Anche la domanda introspettiva: “Am I a bad person?” che accompagna l’intero video non fa altro che rimarcare i tratti distintivi di determinazione e tenacia (e perché no, un pizzico di sano egoismo) necessari a ciascun atleta per vincere.

Questione di punti di vista?

https://www.youtube.com/watch?v=pwLergHG81c

#3 Coca-Cola celebra il valore dell’unione attraverso lo sport

Coca-Cola, sponsor mondiale dei Giochi Olimpici, ha incantato il pubblico con “It’s Magic When the World Comes Together“, la campagna di Parigi 2024 realizzata da WPP Open X e Ogilvy con il supporto di EssenceMediaCom, VML e Hogarth. Lo spot, che celebra l’unione e lo spirito olimpico attraverso il potere di un abbraccio, continua a essere il marchio di fabbrica della casa di Atlanta. Il brand ha saputo sfruttare la straordinaria capacità di Coca-Cola di evocare emozioni profonde e connessioni genuine con gli spettatori.

L’obiettivo principale? Celebrare il valore dell’unione tra le persone, un tema reso particolarmente potente attraverso lo sport, l’inclusione e lo scambio interculturale. Le immagini vibranti e i messaggi positivi dell’annuncio raffigurano le Olimpiadi come un’opportunità unica per la condivisione e la gioia collettiva, riflettendo il valore universale di Coca-Cola come simbolo di felicità e inclusione.

La campagna, che non solo rafforza l’immagine del brand come promotore di esperienze positive e inclusive, conferma il ruolo di Coca-Cola come ambasciatore di valori universali che trascendono le barriere culturali e geografiche.

Powerade, Nike e Coca-cola hanno saputo cogliere l’essenza delle Olimpiadi di Parigi 2024, sfruttandola non solo per promuovere i loro brand, ma per raccontare storie che ispirano e uniscono.

Con una narrazione ricca e significativa, queste campagne non solo hanno saputo attrarre l’attenzione, ma hanno anche creato un impatto duraturo, dimostrando e confermandoci che la vera magia del marketing sta proprio nella capacità di connettere e ispirare.

E a voi, quale ha colpito di più?

Dietro le quinte del marketing: graphic designer edition

Nelle agenzie di comunicazione di tutto il mondo, c’è almeno una figura che rimane spesso nell’ombra, ma senza la quale nulla di ciò che vediamo sarebbe possibile: il graphic designer!

Se pensate che il lavoro di un grafico pubblicitario sia solo quello di accostare in maniera graziosa delle belle immagini, preparatevi a scoprire le retrovie di un mestiere affascinante e, a tratti, quasi esilarante. Perciò mettetevi comodi perché stiamo per rivelarvi alcuni dei momenti più divertenti e bizzarri che solo chi lavora in questo campo può apprezzare realmente.

Ma non temete, anche se siete estranei al mondo del graphic design, vi divertirete ancor di più a scoprire quanto possa essere imprevedibile fare questo lavoro.

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Il Comic Sans non esiste

Per chi non è del mestiere, può sembrare curioso che a volte ci troviamo di fronte a situazioni particolarmente imprevedibili.

Immaginate di essere un grafico in una call con il cliente: dopo aver dedicato ore alla ricerca del font perfetto, avete finalmente trovato un’opzione che pensate sposi pienamente le esigenze del progetto. Ma poi, senza preavviso, ricevete un feedback inaspettato del cliente che vi dice: “Mi piacerebbe un carattere che abbia più personalità, tipo com’è che si chiama, ah sì: il Comic Sans!

Dovete sapere che il Comic Sans MS, noto per il suo stile informale e giocoso (Windows Live Messenger 2011 vi ricorda niente?), è spesso considerato un font poco adatto ai progetti professionali… figuriamoci se scelto per conferire eleganza e raffinatezza. Bene, se non eravate a conoscenza di questo (piccolo) dettaglio, ora lo sapete!

Lavorare in questo ambito può comportare qualche sorpresa, ma d’altronde è proprio questo che rende ogni progetto unico e interessante!

“Mi fai una piccola modifica?”

È forse la domanda più gettonata che ogni grafico riceve non appena mette piede in ufficio (e quelle richieste dai clienti sono sempre le più enigmatiche).

La risposta che vorrebbe dare?

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La risposta che quasi sempre dà è: “Ma certo, te la faccio subito!

Che si tratti di un logo, una brochure o un post social, ogni modifica richiesta dal cliente inizialmente sembra facile, ma alle volte si trasforma in un vero e proprio incubo senza fine. Perché? Perché una piccola modifica può includere tutto, dal ritocco “veloce” a una grafica alla riorganizzazione totale dei contenuti fino a una guerra epica con il sistema di griglie.
Ricordate: quando un cliente chiede un piccolo cambiamento o una qualsiasi modifica approssimativa, preparatevi a riscrivere perfino il brandbook del progetto!

Il mistero del file PSD

Il file PSD è il sacro graal di ogni graphic designer, un compendio di layers e effetti che spesso è più complicato ed enigmatico di una caccia del tesoro. L’avventura per un graphic designer ha inizio quando il cliente, che potrebbe non avere familiarità con strumenti grafici come Photoshop o Illustrator, richiede una “piccola modifica” al volo al file PSD originale: che si tratti di aggiungere un’ombra o di cambiare il colore di un testo, il tutto con una certa urgenza, è proprio in quei momenti che il grafico inizia a vestire i panni di Tom Cruise in Mission: Impossible!

Alla ricerca della sfumatura perfetta

Tutti pensano che lavorare con i colori sia semplice: c’è il rosso, il blu e il verde, giusto? Nulla di più falso! E la vera epopea inizia quando il cliente dice: “Mi piace questa tonalità di blu, ma deve essere più blu”. E aggiunge “Eh, ma non troppo blu”. Solo chi è del mestiere può comprendere quanto sia difficile intendere le volontà del cliente: una vera e propria sfida in cui ogni grafico si ritrova a navigare in un oceano di colori e sfumature, cercando di trovare quella perfetto ma che non esiste in realtà, ma solo nella mente del cliente.

Ed è proprio qui che sta la bravura di un’agenzia di marketing: nel riuscire a coniugare le esigenze del cliente, anche quando espresse con linguaggio non tecnico, con i limiti e le possibilità del caso. La nostra missione è tradurre queste richieste in risultati concreti, mantenendo equilibrio tra creatività e precisione.

Vi siete mai chiesti che potere ha un “Non mi piace”?

È già difficile cercare di non deludere le aspettative del cliente, ancor di più quando è proprio lui a non avere le idee chiare. E il feedback per eccellenza, il più amato dai clienti è “Non mi piace”. Niente di più, niente di meno.
Ogni grafico quando si alza la mattina sa che davanti a feedback del genere deve vestire i panni del detective Conan e tentare (invano) di decifrare cosa potrebbe non piacere, senza alcuna linea guida o indizio. Un po’ come cercare di risolvere un puzzle con la metà dei tasselli mancanti, ma senza perderci il senso dell’umorismo!
In questo senso, il suo lavoro, soprattutto all’interno di un’agenzia strutturata, è anche questo: sapere decifrare e comprendere le volontà profonde e meno evidenti del cliente.

I lavori dell’ultimo minuto non mancano mai

Chi è graphic designer, sa già di cosa parliamo. I clienti un po’ meno. Specie nel loro caso, la domanda è pressoché sempre la stessa: “Potresti farmi due grafiche al volo? Tanto ci metti poco” ma d’altronde il cliente vive sempre un po’ in un mondo fatato dove il lavoro altrui è considerato un gioco da ragazzi. Spoiler alert: creare grafiche originali e accattivanti non è facile come cercare un ago in un pagliaio?

La verità è che dietro ogni progetto, a ogni grafica realizzata, si cela un universo fatto di regole, tecnica e tanta, ma tanta creatività che necessita di tempo per emergere e prendere forma. Il lavoro di un graphic designer non può essere ridotto a un mettere insieme colori, disegni, immagini e font: è un processo creativo continuo e meticoloso fatto di ricerca, studio, ingegno e creatività fuori dagli schemi.

Ogni progetto piccolo o grande che sia richiede impegno, passione e tempo per garantire che il risultato finale non solo soddisfi il cliente, ma superi le sue aspettative.

Quindi, la prossima volta che vi immergete in un progetto o contenuto grafico, ricordate che ogni dettaglio conta e che dietro di esso c’è il duro lavoro di sopportazione di un graphic designer!

Le canzoni iconiche che hanno fatto la storia della pubblicità?

Le canzoni diventate celebri per merito di una pubblicità sono molte, ma quello che forse non tutti sanno è che perfino il più temibile dei tormentoni estivi – la Lambada – è diventato il brano internazionalmente noto proprio grazie a uno spot televisivo.

Vediamo insieme alcune delle canzoni iconiche degli anni ’90 e 2000 che hanno fatto la storia della pubblicità.

Boombastic (Levi’s)

 

Shaggy era un musicista raggae semi-sconosciuto fino al 1995. Ma quell’anno tutto cambiò per lui: Levi’s voleva svecchiare il marchio con uno spot che avesse un forte appeal verso i più giovani: come fare? L’idea dell’agenzia pubblicitaria Bartle Bogle Hegarty fu di creare un clip divertente per il prodotto di punta, i 501, con una canzone allegra e dal ritornello che avesse un hook immediato. La pubblicità era già accattivante grazie alla tecnica della claymation, allora poco utilizzata nel contesto pubblicitario.

Il resto lo fece la canzone scelta: Boombastic irrompe con il suo indistinguibile groove fatto di batteria satura di effetti, l’incrocio di tastiera e fiati ed infine quella voce roca ed ammiccante. Quello che seguì furono un Emmy vinto poche settimane dopo e l’entrata di diritto nella classifica delle canzoni pop più iconiche degli anni ’90.

Lemon Tree (Limoncè)

Rimaniamo nel 1995: la canzone era Lemon Tree” dei Fool’s Garden, già un discreto successo in Europa. Poi, un bel giorno, un paio di anni dopo, arriva lo spot con cui la storica azienda italiana di alcolici Stock lancia il suo limoncello, Limoncè. E in questa pubblicità televisiva vediamo un gruppo di amici, un tramonto mozzafiato, risate, complicità e… il ritornello di “Lemon Tree” che si insinua nella mente degli spettatori.

In questo caso l’intuizione di Limoncè è stata geniale: utilizzare una canzone già conosciuta, ma non ancora inflazionata, per creare un legame emotivo con il pubblico. Una canzone che, guarda caso, non solo ha nel titolo e nel testo un’assonanza col nome del prodotto (lemon tree / Limoncè) ma che, soprattutto, sa di estate.

Are you gonna be my girl (iPod)

Nel 2003, i Jet erano una band australiana emergente con un obiettivo chiaro: attirare più donne ai loro concerti. Con questo nobile proposito in testa, scrissero “Are You Gonna Be My Girl”, un brano rock energico.
La canzone venne lanciata nell’estate del 2003 ma il vero lancio (nella stratosfera) avvenne qualche mese più tardi quando il manager dei Jet gli si presentò davanti con una notizia: Apple aveva scelto quella canzone per il nuovo spot dell’iPod. Il video venne presto prodotto: silhouette nere che si muovevano a ritmo di musica sullo sfondo bianco, accompagnate dal sound graffiante dei Jet. Il risultato fu un successo che catapultò la band verso la fama mondiale.

Quella fu una delle campagne che più contribuirono a spiegare e a convincere il pubblico della forza del nuovo prodotto Apple (sul mercato solo da un paio d’anni allora).
La storia di questa canzone, insomma, si intreccia indissolubilmente con la storia della pubblicità e la storia del marketing.

Perché è difficile ora rendere il senso di quanto quel device cambiò la storia della fruizione della musica: prima chi voleva ascoltare canzoni fuori di casa poteva farlo solo con dei lettori di CD (i famigerati disc-man non reggevano quasi mai a scossoni e urti) e al limitatissimo seppur storico walkman. Un dispositivo che vale la pena di ricordare anche per una delle più belle e concise tagline del marketing:  “1,000 songs. In your pocket.”.

Lambada (Orangina)

Quella della Lambada è la storia di una canzone costruita per diventare un successo. Un successo pensato per supportare due brand in difficoltà (la televisione francese TF1 e la bevanda Orangina) ma che si è portata con sé una causa milionaria di plagio e tanto altro.

Ma partiamo dall’inizio: la Lambada non esiste

Nel 1988 i produttori francesi Jean Karakos e Olivier Lorsac scoprirono in Sud America una canzone dal ritmo coinvolgente della band boliviana Los Kjarkas, intitolata “Llorando se fue”. Intuendo il potenziale del brano, decisero di trasformarlo in un fenomeno globale: traducono il testo dallo spagnolo al brasiliano (considerato più “esotico”) e assemblano un gruppo di musicisti e ballerini di diverse nazionalità (i Kaoma) guidato dalla cantante brasiliana Loalwa Braz con cui ri-arrangiano e registrano nuovamente il brano.

Il titolo scelto è Lambada. Ma il successo non passa (direttamente) dai negozi di dischi ma da una strana sinergia.
Il marchio di bibite Orangina e la rete televisiva TF1 creano assieme il fenomeno, mosse da un obiettivo comune. Sia la tv sia la bibita francesi hanno bisogno di una sterzata se vogliono sopravvivere: TF1 soffre la concorrenza della neonata M6, mentre Orangina (con in suoi oltre 50 anni di storia alle spalle) è ormai considerata la bibita dei nonni.

La combinazione di forze tra TF1 e di Orangina è impressionante, schiacciante: Orangina produce uno spot per la bevanda con la “nuova” canzone e TF1 lo manda in onda ben 250 volte tra luglio e agosto 1989, inserendolo anche come intermezzo tra un programma e l’altro.

Il resto è storia, anche se non sempre delle più fortunate: la canzone vendette più di 25 milioni di copie in oltre 100 Paesi, i produttori ammisero dopo due anni il plagio (e ripagarono gli autori e la loro casa discografica quasi l’equivalente di un milione di euro attuali), mentre i Kaoma non riuscirono più a eguagliare quel successo.

Blog aziendale: perché è fondamentale nel B2B

Nel B2B il blog aziendale è una risorsa strategica importante per raggiungere gli obiettivi di business proposti: crea engagement con i lettori, facilita la visibilità di tutte le pagine del sito dell’azienda grazie alla SEO e migliora l’autorevolezza di un brand.

Non è un caso che nel 2023, secondo il Content Marketing Institute, il 79% dei reparti marketing di aziende B2B abbia scelto il blog come canale comunicativo per la propria attività: una percentuale altissima che segue solamente quella dei social media.

Ovviamente il blog è uno strumento la cui efficacia è direttamente proporzionale alla qualità dei contenuti proposti, che è importante sia tarata sul proprio target, in un continuo aggiornamento delle proposte e dell’informazione. Insomma, un blog aziendale deve essere vivo, interessante e creare valore per i suoi lettori, riuscendo così a comunicare l’expertise del proprio brand.

Per tutte le aziende che ancora non hanno intrapreso questa strada o che ancora non riescono a curare il blog come vorrebbero, vogliamo ricordare nel dettaglio il perché un’azienda B2B debba avere un blog aziendale e dimostrarvi quanto possa essere un investimento proficuo.

Il blog migliora il posizionamento del sito aziendale su Google

Ogni articolo pubblicato, con le sue keyword, favorisce l’indicizzazione su Google e sugli altri motori di ricerca: con l’aumentare delle pubblicazioni migliora la densità di parole chiave e, di conseguenza, il suo posizionamento.

Insomma, per un’azienda con un blog B2B ben strutturato e aggiornato diventa più facile farsi trovare da potenziali clienti in target, soprattutto se i contenuti sono stati targettizzati per parole chiave.

Il blog aumenta la brand authority e fidelizza il cliente

Prima di affidarsi a un marchio le aziende cercano informazioni online: questo è il primo motivo per il quale è importante curare la propria autorevolezza di brand. Per differenziarsi dalla concorrenza, ma anche per dimostrare a tutti il proprio know-how. Ecco che a questo scopo un blog diventa un contenitore iper funzionale: dimostra l’expertise aziendale in un approccio editoriale alla costruzione e al rafforzamento del brand. Come? Attraverso pubblicazioni utili, caratterizzate da un ottimo grado di serietà e approfondimento che sappiano fidelizzare il cliente.

Il blog incrementa il traffico al sito aziendale

Ogni volta che si pubblica, la nuova pagina di blog diventa di fatto una nuova potenziale occasione per far sì che il vostro target atterri sul vostro sito. Non c’è altra sezione del sito ad avere un potenziale come quello del blog, che indicizza un nuovo URL per ogni articolo pubblicato. E non è finita: qui non si parla solo di un aumento quantitativo del traffico verso il sito, ma anche qualitativo. Le persone che leggono un articolo stanno dimostrando di essere interessate ai servizi dell’azienda e quindi sono in una fase già calda del funnel verso il loro engagement.

Il blog contribuisce a potenziare l’efficacia dei profili social aziendali

La ricondivisione degli articoli di blog sui social offre all’azienda un’occasione non solo per arrivare a un maggior numero di buyer (e di aziende), ma anche per mostrarsi a potenziali clienti che non sanno ancora di aver bisogno di voi. Inoltre, la condivisione sui social contribuisce ad amplificare i propri contenuti, rendendo un’azienda stimolante e interessante agli occhi dell’utente, oltre che umana.

Esattamente: l’utilizzo degli articoli blog sui social consente – attraverso un copy mirato – di mostrare anche quel lato più umano ed emozionale del proprio brand, perché ciascun prodotto o servizio è fatto, in fin dei conti, da persone. Un’aspetto che conviene considerare: le tendenze Loyalty 2024 evidenziano come, in uno scenario sempre più abitato dall’intelligenza artificiale, a fare la differenza saranno le competenze umane e la capacità dell’uomo di emozionare ed emozionarsi.

Un tip che diamo ai nostri clienti in questo frangente è di condividere l’articolo sui profili social – soprattutto su LinkedIn – dei responsabili e manager dell’azienda: una condivisione con l’aggiunta di una introduzione ben scritta può favorire commenti e condivisioni.

Conoscete tutte le best practice per il social media managing B2B? Le approfondiamo qui.

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Chiusure estive: l’ABC per comunicarle ai vostri clienti

Come e cosa comunicare se l’azienda è chiusa per un mese estivo?
Alcune aziende, com’è sempre stata tradizione per il mondo B2B italiano, chiuderanno l’attività per una o due settimane, altre invece – più affini alle ultime tendenze – faranno solo un ponte per ferragosto o addirittura opteranno per non sospendere la propria operatività.

Le scelte sono tutte lecite, ciò che però è fondamentale? Comunicarlo anticipatamente ai clienti, in modo che possano gestire ordini e forniture considerando anche le possibili chiusure estive. Questo non solo assicura un workflow più linerare, anche nel momento della riapertura, ma evita alla propria azienda malintesi e fraintendimenti che potrebbero lesionarne l’immagine.

Chiuso per ferie: come comunicarlo a clienti, propri e potenziali

Quando si parla di quei clienti che abitualmente si avvalgono dei servizi dell’azienda, non è certo difficile trovare il modo più idoneo per comunicare le proprie chiusure estive. La vostra azienda conosce i propri clienti e può scegliere le modalità più efficaci e funzionali per questa comunicazione. L’importante è che venga letta. Cosa fare invece per tutti i potenziali clienti che potrebbero ricercare i tuoi servizi proprio nel momento di chiusura? Ve lo sveliamo tra poco.

Newsletter

Un metodo tra i più classici: inviare una newsletter informativa che segnali i giorni di chiusura o di riduzione d’orario. È bene evitare di inserire questa informazione tra altre info logistiche o approfondimenti circa il proprio settore: quella della chiusura è un’informazione importante e, come abbiamo già detto, deve essere letta dal cliente. Meglio una mail dedicata.

Messaggistica real time

Ogni azienda riceve giornalmente una quantità di mail per la quale può accadere di perdersene qualcuna: se i report delle newsletter inviate ci dicono che il nostro cliente non ha aperto il messaggio è bene ricorrere alla messaggistica real time. Preparate un messaggio da inoltrare a tutti i vostri contatti tramite Whatsapp, Telegram, ma anche tramite le chat dei Social. Le probabilità che la vostra informazione arrivi a destinazione aumenteranno in maniera significativa.

Avvisi su sito e social

Un’ottima pratica sia per i clienti che già si avvalgono dei vostri servizi che per quelli che potrebbero cercarvi proprio nel momento in cui avete deciso di staccare la spina: tutte le vostre vetrine online devono comunicare le date di chiusura per ferie. È bene dunque indicare le chiusure estive sul proprio sito, sul profilo Google e con post mirati sulle piattaforme social che si utilizzano (LinkedIn, Facebook, Instagram per esempio).

Autoresponder e segreteria telefonica

Sia per le mail che per la messaggistica real time conviene impostare dei messaggi di risposta automatica in cui ringraziamo per averci contattato, ricordiamo le date di chiusura e specifichiamo che il cliente sarà ricontattato al più presto. Lo stesso facciamo registrando un messaggio sulla segreteria telefonica che informerà delle ferie chiunque contatti l’azienda.
Molto professionale sarebbe comunque lasciare attivi un numero o una mail per le urgenze.

Aperti anche nella settimana di ferragosto? Va specificato.

È vero ormai che da qualche anno la tendenza è quella di chiudere il meno possibile, anche ad agosto, ma i clienti sono ancora figli di una lunga tradizione che voleva le aziende in ferie per quasi tutto il mese. Per questo se un’azienda non dovesse sospendere le proprie attività è bene lo comunichi, perché un cliente non dia per scontato il contrario. Inoltre, è sempre una buona occasione per rimanere in contatto con gli acquirenti e dimostrare la propria professionalità, anche nelle comunicazioni.

E a ferie finite…

Si torna a lavoro: la prima cosa da fare è proprio disattivare tutte quelle comunicazioni che dicevano non ci sareste stati. Fermate l’autoresponder ed eliminate il messaggio in segreteria; reimpostate i normali giorni e orari di attività sul sito e sul profilo Google; fai capire anche sui social che siete tornati operativi. Sembra un’attenzione banale, ma i vostri clienti apprezzeranno.

Nel frattempo, avete bisogno di qualche buona lettura da ombrellone per il vostro marketing aziendale? Qui abbiamo qualche consiglio, ma contattateci pure per qualsiasi richiesta.

Dietro le quinte del marketing: social media manager edition

Una vita in vacanza: il divano è il luogo maggiormente deputato alla vita di una social media manager, che tra pop corn, patatine, spritz in piazza e lunghe telefonate con le amiche, cerca quelle tre frasi carine da postare per far giornata. Nei giorni peggiori deve creare anche una grafica, ma per risparmiare tempo e non perdersi l’uscita della nuova puntata della serie del momento – sennò come vivere con tutta quella FOMO in corpo? -, chiede a ChatGPT di pensarci per lei. D’altronde cosa aspettarsi di diverso? Quello del social media manager è un lavoro così semplice e divertente che potrebbero farlo sia tua cugina sedicenne, tutta twerking e cörsivoe, che zia Carmela, nelle pause pubblicitarie di un posto al sole.

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Spoiler alert

E invece no: non c’è nulla di vero. Questa è l’immagine stereotipo per il boomer che urla la sua frustrazione nei meandri più reconditi dei suoi gruppi facebook (ma non sa come postare assieme testo e foto). Perché quello del Social media manager è uno dei mestieri più sottovalutati: il web non dorme mai, Meta aggiorna le sue impostazioni ogni due ore e le competenze richieste in questo campo crescono al ritmo sfrenato dell’evoluzione tecnologica.
Insomma, il social media managing oggi è una professione a tutto tondo, con sfide, obiettivi a lungo termine e investimenti che premiano solamente in un caso: quando si lavora bene.
Traduzione: quando la scelta della parola giusta fa risaltare tutto un testo; quando un testo breve e un carosello ben studiato fanno capire a centinaia di clienti come funziona l’e-commerce del cliente; quando nei feed del tuo cliente appaiono i lavori fatti e lui si stesso si stupisce e si complimenta per la resa, che nemmeno lui si aspettava potesse essere così bella.

La giornata tipo di un content creator

La giornata inizia di prima mattina. Con una tazza di caffè in mano e gli occhi ancora assonnati, si controllano le metriche: engagement, reach, commenti. Ogni dato è una piccola storia che racconta il successo o il fallimento dei post appena pubblicati. Un po’ come controllare i risultati delle partite per un allenatore di calcio: ogni statistica diviene decisiva per aggiustare il tiro della strategia e massimizzarne i risultati.

Segue poi la pianificazione dei contenuti. Dietro quelle tre frasi carine che scorrono nel feed, ci sono ore di brainstorming, studio del tone of voice, analisi di mercato, studio delle tendenze del momento e coordinamento con il resto del team. Ogni post non può ridursi a una semplice frase, magari anche un po’ banale, ma è il frutto di un lavoro di insieme e di una strategia precisa volta a raggiungere obiettivi ben definiti. Non si tratta solo di essere creativi, ma anche analitici e strategici.

Creatività + tempo + strategia = il nostro lavoro, quello vero

Dopo aver messo a punto la strategia e pianificato valanghe di piani editoriali, è tempo di passare alla creazione dei contenuti vera e propria.
Si spazia dal copywriting alla creazione di grafiche, dall’editing di video alla programmazione dei post sulle diverse piattaforme. È un po’ come essere il regista di un film, dove ogni dettaglio conta e contribuisce a fare la differenza: dalla sceneggiatura, alla fotografia, fino al montaggio finale, ovvero il contenuto social bello e fatto, e chissà magari pronto a ricevere centinaia di like, commenti e share.

E mentre tutto questo accade, bisogna anche essere pronti a gestire eventuali crisi: un commento negativo, un problema con un cliente insoddisfatto o un aggiornamento all’ultimo secondo dell’algoritmo che manda all’aria i piani appena fatti.
Ogni giorno è una corsa contro il tempo per mantenere tutto sotto controllo e garantire che ogni contenuto, ogni piano editoriale sia perfetto, impeccabile. E se proprio questa professione non vi sta in mente, provate a pensare al social media manager o a un content creator come a un supereroe digitale, pronto a intervenire per salvare la reputazione online del brand, un post alla volta.

“Ma quindi ti pagano per stare ore e ore sui social?”

Si tratta di una delle domande più gettonate per chi è del mestiere.
Perché questa è l’immagine che le persone hanno quando sentono parlare di “professionisti dei social media”. Essere un social media manager non significa, però, solo passare intere giornate sui social network. Significa essere un comunicatore esperto, un analista attento, un creativo senza limiti e, nella maggior parte dei casi, un risolutore di problemi.
Eh sì, perché i problemi, specie se parliamo di Meta, sono davvero all’ordine del giorno!
Quello del social media manager o content creator è un lavoro che richiede passione, dedizione e una continua voglia di apprendere, aggiornarsi e migliorarsi. Un lavoro che, se fatto bene, può fare davvero la differenza per il successo di un brand.

P.S.
La prossima volta che vi imbatterete in un meme perfettamente azzeccato, un reel Instagram emozionante o un carosello che vi fa sorridere, pensate al mago dietro le quinte e ricordatevi: non è magia, è l’esito del duro lavoro del social media manager!

Marketing B2B: i 5 errori da evitare

Nel settore business-to-business, la chiave del successo di un’azienda risiede nella sua capacità di costruire relazioni solide e durature con buyer e stakeholder.
Basta infatti un target non definito, una comunicazione non allineata o incoerente per compromettere la percezione che il mercato ha del marchio, minando reputazione e autorevolezza aziendale.

Se volete evitare di cadere nelle trappole più comuni e assicurare che il vostro investimento di marketing dia i suoi frutti, siete nel posto giusto: vi stiamo per svelare i cinque errori più comuni nel marketing B2B.

1. Non conoscere il proprio target

Quello della scarsa conoscenza del pubblico è uno degli errori più frequenti fra le aziende B2B, che conduce spessissimo all’elaborazione di strategie approssimative, incapaci di portare a dei risultati concreti.

Prendiamo un esempio. L’azienda X sta per lanciare la sua campagna di email marketing: ha creato la sua newsletter e provveduto a inviarla al calderone di contatti che ha raccolto nel tempo. La campagna non produce però i risultati sperati: la mail ha raggiunto i destinatari, ma il tasso di apertura è pressoché inesistente. Cosa è successo?

L’azienda, nel settare la campagna, ha dimenticato un elemento più che fondamentale: le mailing list! Senza di esse, una campagna email non può che portare a tassi di apertura e conversione molto bassi o addirittura inesistenti.

La chiave di volta risiede proprio nella segmentazione del pubblico in mailing list, ossia la creazione di singoli segmenti o liste di contatti suddivisi ad esempio in base alla tipologia di prodotto richiesto o offerto, al comportamento di acquisto o all’interesse dimostrato dal cliente verso determinati prodotti e servizi.

Inoltre, la conoscenza del pubblico deve essere in cima alla lista dei fattori chiave per il successo aziendale (79%). Si tratta infatti di una delle primissime attività da svolgere quando si dà vita a una strategia di marketing e comunicazione: occorre che abbiate chiaro fin da subito il target a cui vi state rivolgendo.

Fonte: Content Marketing Institute

In questo senso, lo studio dei vostri buyer personas diventa cruciale per segmentare efficacemente il pubblico e offrire contenuti rilevanti e personalizzati in base alle sue esigenze. Solo così sarete in grado di creare valore per il vostro target e ottenere un significativo ritorno in termini di fedeltà.

2. Trascurare il content marketing

Tantissime aziende B2B sottovalutano l’importanza di contenuti pertinenti e di qualità, incentrando i propri sforzi di marketing quasi esclusivamente sulla vendita diretta.

I dati parlano chiaro: ben il 96% degli acquirenti B2B desidererebbe ricevere maggiori contenuti da parte delle aziende.
Questo sottolinea l’importanza di una solida strategia di content marketing, in grado non soltanto di promuovere i vostri prodotti, ma di instaurare e rafforzare le relazioni di valore tra la vostra azienda e il vostro bacino di buyer attuali e potenziali.

Secondo il Content Marketing Institute, le aziende B2B che investono sulla creazione di contenuti di qualità hanno una probabilità di ottenere un ritorno sull’investimento sei volte maggiore.
Investite dunque sulla qualità dei vostri articoli di blog, newsletter, post social e raccoglietene i frutti.

3. Sottostimare il potere dell’analisi dei dati

I dati assumono un ruolo più che determinante per il successo di una strategia di marketing. Eppure, molte aziende B2B all’interno del settore continuano a destinare pochissima importanza agli insight, commettendo l’errore di non monitorare l’andamento delle azioni di marketing messe in campo.

Tuttavia, sebbene adottare un approccio data driven sia percepito da molte imprese come una sfida, nel 2023 ben il 73% delle aziende B2B ha investito in tecnologie di analisi dei dati, concentrandosi in modo particolare sulla misurazione del ROI.

Monitorare periodicamente le performance del proprio marketing è fondamentale non solo per conoscere con esattezza il ritorno sull’investimento, soprattutto pubblicitario (ROAS), ma anche per correggere il tiro della vostra comunicazione e massimizzarne i risultati.

4. Sottovalutare la SEO

Un sondaggio di BrightEdge ha evidenziato che il 50% delle aziende B2B preferisce investire in altre forme di digital marketing (ad esempio il social media marketing) anziché sulla SEO.

Ovviamente, ciò è imputabile a diversi fattori, ma il punto è che l’ottimizzazione per i motori di ricerca è un’attività essenziale per aumentare la visibilità online, il traffico organico e ottenere un posizionamento chiaro sella SERP di Google. Sottovalutarla significa rinunciare a numerose possibilità di ottenere nuovi potenziali lead e collaborazioni.

Un consiglio? Elaborate la vostra strategia tenendo conto anche della SEO: ricerca delle keyword o parole chiave, ottimizzazione on-page e off-page e la creazione di contenuti di qualità, come articoli di blog che rispondano alle query dei potenziali buyer e imprenditori del settore.

5. Non considerare lo scarso allineamento tra marketing e sales

Uno degli errori più insidiosi, spesso sottovalutato dalle aziende B2B, è la scarsa collaborazione tra i reparti sales e marketing (meglio noto come smarketing).
Quando questi due reparti non sono allineati, l’intera strategia aziendale può risentirne: lead di scarsa qualità, opportunità di vendita mancate e spreco di budget e risorse.

Al contrario, le aziende con una forte sinergia tra sales e marketing riescono a chiudere il 38% in più di contratti e a generare il 208% in più di entrate rispetto a quelle che non hanno questo allineamento. Per ottenere tali risultati ed evitare errori, è essenziale che i due team lavorino a stretto contatto, condividendo obiettivi, dati e feedback in maniera continua.

Evitare questi cinque errori può fare una grande differenza per il vostro marketing, offrendovi la possibilità di raggiungere i vostri obiettivi di business e massimizzare il vostro ROI.

Avete bisogno di supporto mirato per ottimizzare la vostra strategia di marketing e comunicazione?
Scoprite cosa possiamo fare per voi.