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Autore: VStrategy

Marketing B2B per logistica e trasporti: gli strumenti chiave

In principio era tutto sulle spalle degli agenti commerciali, oggi si parla anche di un buon marketing mix, iper aggiornato.
I costanti e profondi cambiamenti che investono il settore logistica e trasporti richiedono a un’azienda una continua modernizzazione delle proprie strategie di vendita e marketing B2B: per rimanere al passo con i tempi e farlo capire alle altre aziende, per offrire sempre nuovi valori aggiunti ai propri clienti.

Ma come riuscirci? Con una strategia di marketing personalizzata sugli obiettivi aziendali in grado di far fruttare al massimo gli strumenti più funzionali, che ora scopriremo assieme.

Un sito web performante

Avere un sito web è ormai una condizione necessaria per tutte le aziende, ciò che fa la differenza è l’efficacia di questo strumento, per le vendite e la brand awareness di un’azienda.

Con un sito web performante un’azienda B2B del settore logistica e trasporti può acquisire contatti, attrarre nuovi clienti, fidelizzare ulteriormente i propri, affermare la propria brand identity e vendere i propri prodotti e servizi.

La costruzione di un sito è dunque uno snodo centrale nella definizione della propria strategia di marketing e richiede un’accurata analisi dei competitor, del target di riferimento e degli obiettivi dell’azienda.

Questo per valorizzare al massimo il proprio prodotto, per differenziarsi dai competitor diretti, ma anche per offrire un’esperienza appagante ai propri potenziali clienti.

Un blog aggiornato

Gli articoli sanno attrarre, coinvolgere e attirare lead e potenziali clienti: stimolano l’engagement con i lettori e favoriscono il posizionamento e la SEO.

Ma ancora, un blog curato migliora la reputazione online di un’azienda, incrementandone la notorietà e dunque la predisposizione di un potenziale cliente a fidarsi dell’azienda stessa.

Nel marketing B2B per logistica e trasporti, poi, è uno strumento importante per aggiornare rispetto a tutta la normativa di riferimento, per comunicare una novità o per mettere in luce le feature dei vostri prodotti e servizi.

Marketing offline

Abbiamo parlato di marketing mix non a caso: in questo settore più che in altri il marketing offline sa fare ancora la differenza. Flyer, brochure, cataloghi, etichette e gadget promozionali sono essenziali a supporto dei commerciali della vostra azienda, ma anche per la partecipazione a fiere e congressi.

Si tratta di materiali più concreti e tangibili, che fanno toccare con mano l’expertise della vostra azienda e che – quando ben pensati – hanno un maggiore impatto emotivo sul cliente e riescono a favorirne la memorabilità.

Un consiglio non scontato: tutti questo materiali offline per risultare davvero funzionali devono essere coordinati nell’immagine e nel Tone of Voice con tutta la comunicazione online dell’azienda.

Ads e PR

Quando si tratta di ads e PR per il marketing B2B nel settore logistica e trasporti, si sta parlando semplicemente della creazione di occasioni di visibilità nei confronti di altre aziende, potenziali clienti.
Google Ads in questo senso è un’ottima soluzione per l’aumento delle conversioni, grazie alla segmentazione di campagne in target e al suo continuo retargeting.

Una strategia di PR può invece puntare alla notorietà aziendale su riviste del settore, sviluppando veri e propri nessi relazionali con l’ambiente di riferimento.
In questo modo si può stimolare il mercato verso un nuovo prodotto o un servizio e/o favorire il posizionamento della vostra azienda sul mercato.

Conosciamo bene la forza del marketing nel rafforzare il brand e i successi aziendali per le aziende B2B del settore logistica e trasporti. Per questo non ci tiriamo indietro nell’accompagnare queste aziende nel loro viaggio online e offline: lo facciamo puntando alla soddisfazione del cliente e a un’ottica green, che non spreca ma ottimizza l’investimento fatto.

Avete bisogno di supporto per la vostra strategia di Marketing B2B? Contattateci.

Le buzzword di cui non abbiamo bisogno (nel marketing)

Le buzzword sono termini o espressioni che diventano di moda in un periodo brevissimo: ieri non esistevano nemmeno e oggi pervadono le discussioni su internet e tra gli addetti ai lavori.

Soprattutto nel marketing: pochi campi sono suscettibili ai trend del momento come il nostro. E tra di noi si muovo alcune buzzword che fanno sembrare “cool” e “sul pezzo” molti marketer ma che forse forse non meritano tutta questa attenzione. Anzi.

Disruptive Marketing

Quando parliamo di Disruptive marketing ci riferiamo a strategie che rompono gli schemi tradizionali, introducendo nuovi modi di pensare e agire che possono trasformare interi settori. In teoria.
Diciamo in teoria perché là fuori c’è chi vede il disruptive marketing ovunque (mettiamo qui a lato un meme esplicativo di questa tendenza).

Tanto che fioccano i marketer che usano questo termine per descrivere qualsiasi novità, anche marginale, nel tentativo di catturare l’attenzione del cliente o dell’utente sensibile alle nuove “strategie” con un post provacatorio e che promette faville sul vostro social di preferenza (ma spesso li vediamo su Facebook e, purtroppo, anche su LinkedIn).

Ma considerando che di Steve Jobs ne nasce uno ogni 20 anni, che non nascono sotto gli alberi nemmeno geni del marketing in grado di rivoluzionare il mercato con campagne di disruptive marketing ovviamente ne abbiamo, ma chi vi parla dicendo che metterà in piedi una strategia “disruptive” per voi…spesso non ha né il budget né le capacita per farlo davvero.

Se cercate nei vostri ricordi di clienti italiani, non a caso vi verrà in mente solo UN esempio forte (sì, sono loro, quelli di Taffo) mentre, se siete dei professionisti del marketing avrete in mente anche altri esempi, ma tutti da brand esteri: il “don’t buy this jacket” di Patagonia, oppure la pubblicità di Netflix per Sanremo 2024 (“Lo sappiamo, questa settimana guarderete altro.  / Ci vediamo la prossima.”)

Growth Hacking

Growth hacking stava a significare una strategia di marketing che utilizza di tattiche creative e cost-effective per aumentare rapidamente la base utente e le entrate di un’azienda, spesso con budget limitati. Forse avrete già capito dove stava il problema.

In poche parole e come potrebbe dire chiunque lavori nel marketing digitale da più di 6 mesi: cosa c’è di nuovo? Ovvero: anche prima che qualcuno coniasse questo termine (a fine anni ’10 del 2000), chi non faceva tattiche di marketing (più o meno lampo) per aumentare rapidamente le vendite?
I growth hacker che non cedono mai diranno che il GH è una cosa diversa, che si tratta di elaborare delle “blietz-krieg” di advertising in grado di dire in uno-due-tre mesi se un prodotto è scalabile.

Sia come sia, in quasi 10 anni di vita il significato è diluito e il growth hacking è solo un’altra buzzword abusata soprattutto perché molti cosiddetti esperti vantano tassi di crescita straordinari (il 950% in due giorni), attribuiti a “growth hacks”, ma quello che tendono a nascondere è che i loro “dati” non sono calcolati su periodi statisticamente rilevati oppure sono elaborati facendo del cherry-piking (sì: sono andati a prendere quelle due settimane in cui tutto è girato per il verso giusto).

Principio di Pareto

Il Principio di Pareto, noto anche come la regola dell’80/20, è un concetto ampiamente riconosciuto nel mondo del marketing. Sarà apparso anche a voi un post da qualche parte per illustrarvi come potete stare comodi comodi mentre quel 20% di lavoro vi aiuterà a tirare su l’80% del profitto, no?

Il principio generalmente suggerisce che l’80% degli effetti deriva dal 20% delle cause. La sua applicazione indiscriminata ne ha fatto invece una buzzword citata per giustificare la concentrazione delle risorse sul 20% dei clienti che generano l’80% dei profitti (le variante di questa formuletta sono infinite: divertiti a inserire “Principio di Pareto” nella barra di ricerca di Facebook per vederne le mutazioni).

Senza andare troppo per il sottile, si può facilmente comprendere come l’assunzione che la regola dell’80/20 sia universale significhi ignorare la complessità e la dinamicità dei mercati (di qualsiasi mercato) dove le proporzioni possono variare significativamente.

Quello che vediamo fare da nostri colleghi e sedicenti divulgatori economici è purtroppo usare questa formuletta come testa da ariete per sfondare l’interesse di utenti poco educati all’economia. A chi non fa piacere pensare che “l’80% del fatturato arriva dal 20% dei tuoi clienti” (quindi: liberati degli altri clienti!); o che “con il 20% del lavoro si può ottenere l’80% dei risultati” (quindi: mettiti comodo…); o ancora che “nel marketing il 20% delle tue attività produce l’80% dei tuoi risultati” (insomma: basta azzeccare la tattica giusta, servono giusto un paio di ads su cui buttare soldi e il gioco è fatto!).

La realtà, purtroppo, è sempre più complessa di così.
Per questo crediamo che si debba partire da strategie vere nel marketing.

LinkedIn Pharma B2B: strategie vincenti ed errori da evitare

Molte aziende di pharma B2B non sentono l’importanza di promuovere il proprio marchio via social? Eppure il social media marketing è un canale eccellente per il marketing B2B: basti pensare che nel 2023 il 25,1% degli utenti social italiani (imprese comprese) ha conosciuto un nuovo brand proprio su una piattaforma social, o che il 60% degli acquirenti controlla proprio sui social un marchio sconosciuto prima di effettuare l’acquisto.

È ovvio, il modo di comunicare e la finalità è bene cambino di piattaforma in piattaforma e la scelta dei social più indicati per il settore sta alla base una buona strategia di marketing B2B, ma se le cose si fanno con professionalità e puntando sempre all’interesse dei possibili utenti i social rispondono, eccome.

Pharma B2B: quali piattaforme per il proprio marketing

Man mano che i mercati crescono, le aziende si ritrovano – che lo vogliano o meno – a diventare parte di reti sempre più ampie ed entrare di fatto in concorrenza con tutte le altre aziende del settore: essere sui social – come abbiamo già indicato in questo articolo sul marketing B2B – significa esistere, giocare a pieno la propria partita.

Per il settore farmaceutico i “campi da gioco” privilegiati sono soprattutto le piattaforme ricche di flussi informativi, come LinkedIn, Facebook e X.
Se quest’ultimo è uno strumento che consigliamo di valutare solo alle grandi aziende B2B, per condividere news ed interagire con i propri follower, Facebook e LinkedIn sono perfetti anche per le piccole e medie aziende che vogliono fare rete con i professionisti, unirsi a gruppi del settore e condividere i propri articoli.

Il re social per il marketing B2B nel settore farmaceutico: LinkedIn

In Italia la preferenza per LinkedIn per chi lavora nel Pharma B2B esiste ed è in forte sviluppo, ma all’estero è davvero un primato. Non sorprende a dire il vero: LinkedIn registra più di 67 milioni di imprese iscritte e ospita più della metà della forza lavoro italiana.

Di fatto sta rappresentando un canale rapido e sicuro per le aziende che vogliono collegarsi con medici e prescrittori per incentivare l’utilizzo dei propri prodotti ed è riconosciuta come la migliore piattaforma per il marketing B2B.

Detto questo, un’azienda non può improvvisare: ha bisogno di strategie e piani d’azioni in grado di garantire maggiore sicurezza negli investimenti (le sponsorizzate su LinkedIn sono le più care in assoluto: conviene puntare dritti al bersaglio).

LinkedIn per il settore Pharma: i tre errori più grandi

Prevenire è meglio che curare, un semplice detto popolare che dovrebbe però essere un mantra per un’azienda che vuole investire. Ecco dunque i tre errori più significativi nei quali un’azienda B2B può inciampare su LinkedIn.

  • Curare solo il profilo aziendale e non quello personale. Su una piattaforma di fatto professionale la credibilità va costruita anche attraverso il profilo personale dei responsabili di vendita e di coloro che poi si interfacceranno con i potenziali clienti. È importante che un profilo personale non si limiti a elencare le esperienze, ma riesca a dimostrare la propria professionalità, a tutto tondo.
  • Non condividere articoli e materiale informativo. Condividere contenuti dettagliati, anche lunghi e scientifici è un ottimo modo per condividere valore con i tuoi follower, mostrando le proprie conoscenze e competenze. Così come i post, i tuoi articoli su Linkedin potranno ricevere reaction e commenti e piaceranno a Google, che reputa LinkedIn un social affidabile: saranno facilmente indicizzati sul motore di ricerca.
  • Non avere una strategia. Un insieme di buone pratiche non può funzionare se slegato da una pianificazione attorno a un obiettivo preciso e misurabile: i risultati non si ottengono sul breve termine e c’è bisogno di progettazione, di studio e valutazione mensile del coinvolgimento del proprio target, per generare lead sempre più qualificati.

I due assi nella manica per una Signora strategia su LinkedIn per il settore Pharma B2B.

Ebbene si, non abbiamo ancora svelato tutto. Ci sono due feature di LinkedIn che rendono questa piattaforma ancora più appetibile per le aziende che vogliono farsi notare nel mare magnum del settore farmaceutico. Si tratta di strumenti eccezionali e potenti che vanno utilizzati, però, con grande attenzione e professionalità, altrimenti rischiano di ritorcersi contro, causando danni all’azienda.

Il comment marketing

Con questa strategia un’azienda lascia commenti significativi su post e articoli per costruire relazioni con le altre aziende, per generare traffico verso il proprio profilo e aumentare audience e brand awareness. Fondamentali per questa tecnica sono la costanza e la scelta accurata dei profili su cui lasciare il proprio commento: i profili scelti non devono solo avere un buon numero di follower e un buon traffico, ma devono anche pertinenti al settore Pharma. I commenti poi fanno l’80% del lavoro: non devono essere dei meri copia e incolla e non devono contenere elementi di giudizio, ma piuttosto devono contribuire a fornire punti di vista, condividere approfondimenti e stimolare la conversazione. Attenzione anche ai commenti spam, che di certo non contribuiscono a promuovere un brand ma rischiano invece di rovinare la propria reputazione online.

I gruppi LinkedIn

Cercare i gruppi più interessanti per la vostra azienda e il vostro target Pharma è un’occasione unica per divenire parte di una comunità di professionisti del settore attiva ed arricchente. E non solo: con un’adeguata ricerca attraverso keyword all’interno del gruppo stesso rivelerà gli utenti più in target, verso i quali focalizzare la propria attenzione con commenti e condivisioni mirate. Attenzione quindi ai contenuti: è bene evitare attività promozionali troppo spinte, che andrebbero non solo a ledere la propria immagine aziendale, ma anche la propria partecipazione al gruppo (i regolamenti di queste community spesso non contemplano l’attività di vendita).

Un esempio di un buon gruppo LinkedIn per il settore Pharma B2B? The Pharmaceutical Marketing Group è il più grande gruppo di comunità farmaceutiche su LinkedIn, con 226.007 membri e mira a un networking di alto valore per il settore Pharma.

Avete bisogno del supporto di professionisti B2B per il vostro marketing?
Contattateci.

Il customer marketing (che non si fa)

Chi fa marketing deve rispondere a due modelli nell’immaginario collettivo: il fascino ambivalente del talentuoso Don Draper di Mad Men; la caricaturale storpiatura italica del guru del marketing metà Show-Man e metà custode di verità occulte. Ma, al di là di queste due figure semi-mitologiche che imperversano nelle nostre fantasie (e talvolta perseguitano le nostre realtà), questa visione tradisce un’immagine del marketing che tralascia una parte essenziale del nostro lavoro: il cliente.

Nessun professionista del marketing si può dire tale se non è in grado di ascoltare il cliente e fare propri i suoi bisogni. Eppure, su questo argomento non leggete mai nulla: là fuori non ci sono articoli ficcanti, non ci sono meme ironici, non ci sono brevi tutorial in formato reel.

Sembra incredibile ma, in un lavoro come quello del marketing che è iper-narrativizzato, e dove non mancano certo racconti edificanti di successo e narrazioni prêt-à-porter su “come farcela”, nessuno parla del cliente.
Forse è il caso di iniziare a rimediare.

Dell’arroganza

Pare la posizione di default di non pochi colleghi del settore, dai piccoli ai grandi: ci sono giovani colleghi che fremono e che usano questa posizione come scudo a difenderli da inevitabili insicurezze o mancanze di know-how; ci sono più o meno autoproclamatisi CEO che invece usano l’arroganza e le buzzword di moda a mo’ di clava per appiattire qualsiasi accenno di dialogo o dubbio di chi gli si para davanti.

Benintesi: stiamo parlando di una minoranza di marketer, ma che è spesso sovraesposta. Non a caso il cliché dell’esperto del marketing ormai è questa cosa qui: un incrocio tra uno Steve Jobs sempre in modalità Keynote Speech e un Gordon Ramsay con la raucedine per il troppo imprecare.

Ma se questa posa (tossica e testosteronica al limite del ridicolo) è perlopiù una maschera utile al personal brand di alcuni marketer, questo non significa che non nasconda un problema di approccio: anche dismessi i panni dello show-man, molte di queste persone si approcciano ai loro stessi clienti con un persistente atteggiamento di supponenza. È probabilmente inevitabile che, in un ambito molto concorrenziale come il nostro, termini come leadership e autorevolezza prendano spesso la strada dello slittamento semantico verso supponenza e autoritarietà; ma questo è nondimeno un segno che dovrebbe allarmare molti clienti: chi fa marketing per voi non lo può fare a dispetto di voi.

Il marketing ben fatto è sempre un incontro in cui agenzia e cliente si annusano, si conoscono e infine si fidano (come abbiamo già detto).

Parliamo tanto di customer marketing

È straniante sentire parlare di “customer marketing” così spesso nel nostro campo, quando si cade facilmente nei soliti vecchi automatismi di un marketing che è tutto operatività e poca strategia: c’è un’agenzia che viene assoldata da un’azienda con un obiettivo preciso e concreto (vendere x, attirare clienti y) e quello che molti di noi fanno a questo punto non è fermarsi ad ascoltare prima e elaborare una strategia che poi renda possibile e organico il lavoro di commerciali interni e di operativi esterni del marketing.

No, perché il primo customer marketing che molti non sanno fare è proprio il nostro di agenzie di marketing e comunicazione, dove spesso non c’è il cliente al centro del processo. Altrimenti non vedremmo così tante campagne ads tirate via; salti aberranti di tono di voce all’interno dello stesso sito (ecco come evitare); oppure loghi, grafiche dei siti, e contenuti per i social che a metterli tutti assieme ne verrebbe fuori il costume di arlecchino.

Due red flag e due consigli

Cosa manca a molti di noi e cosa invece raccomandiamo a tutte le aziende (B2B o B2C) in cerca di qualcuno che gestisca il marketing? Di non farsi ammaliare dalle pose e dalle buzzword; e di non ricercare marketer che siano yes-man con un piano di advertising già pronto in tasca.
Ma non solo.

Considerate anche: se l’esperto che avete di fronte vi presenta un piano che va oltre i 6-12 mesi; e non dimenticatevi di chiedere chi sono le persone che si occupano dell’operatività del marketing e come lavorano. Perché il marketing è fatto di impegno, conoscenza e più di un pizzico di talento.

Se anche voi credete che un’agenzia di marketing competente possa essere anche composta da persone morfologicamente diverse da Gordon Ramsay (e il marketing vi serve), potete iniziare a raccontarci anche subito della vostra azienda.

3 buone pratiche di social media marketing B2B

Inutile nascondersi dietro a un dito: oggi per un’azienda essere sui social significa esistere.

Non è un caso infatti che i social siano balzati al quinto posto come luogo di scoperta di nuovi brand, prodotti o servizi: prima di loro ci sono solo i motori di ricerca, la pubblicità televisiva e il passaparola di parenti e amici.
Nel 2023 il 25,1% degli utenti social italiani ha conosciuto un nuovo brand proprio su una piattaforma social: un dato chiaro che evidenzia l’importanza di questi canali per tutte quelle aziende che desiderano farsi conoscere.

Se questo vale per le aziende B2C, per le aziende B2B è ancora più vincolante, perché per queste ultime essere sui social non basta. L’assenza dalle piattaforme fa infatti perdere all’azienda B2B tanta credibilità quanto una scarsa cura delle pagine social aperte: un’azienda B2B non deve solo esserci, ma deve fare le cose come si deve, con amore e professionalità.

Ecco dunque una piccola guida con le 3 best practice di social media marketing B2B per le aziende che sui social vogliono raccontare i propri valori, desiderano creare relazione con il proprio target e rafforzare il brand sul mercato, ma non sanno da dove partire o non ci sono ancora riuscite.

Un consiglio a chi è già sulla buona strada: rispolverare le basi non guasta e aiuta a guardare al da farsi con più consapevolezza.

Vediamo dunque quali sono le best practice che possono aiutare la vostra strategia di social media marketing B2B.

1. Seguite la concorrenza e differenziatevi

Partire dalle mosse dei competitor per distinguersi è davvero un’ottima pratica.
Che siano competitor diretti o indiretti è necessario scovarne i punti di forza e di debolezza per poi trasformare questa conoscenza in strategia.

«Le loro pagine social comunicano un’identità coerente?», «Come risponde il pubblico ai loro contenuti?», «Quali tipologie di contenuti performano meglio?»: queste sono solo alcune delle domande a cui rispondere in fase iniziale, per poi dare vita al proprio brand sui social. Come? Trovando altre risposte: «Cosa ho da dire di nuovo nel mio ambito?», «Quali sentimenti voglio suscitare?», «Come posso essere rilevante nella vita di un’altra azienda?», «Quali piattaforme sono più adatte a trasmettere il mio messaggio?».

Un’azienda B2B che può distinguersi è un’azienda che ha capito chi è, e conosce molto bene i propri obiettivi.

2. Siate professionali, anche sui social

È vero, nella vita quotidiana capita di aprire alcuni social in particolare (Instagram, TikTok, Pinterest, Facebook e YouTube) per passatempo, per staccare un attimo dalla routine.
Eppure un’azienda sui social dovrebbe sempre essere professionale:

Insomma, un’azienda che vuole far funzionare i propri social non può gestirli nei ritagli di tempo o affidarli in toto a uno stagista. Anzi, dovrebbe investirci, affidandosi – soprattutto all’inizio – a dei professionisti in grado di costruire la strada da percorrere in futuro.
In questo caso ricordate: perché la collaborazione funzioni c’è bisogno – per l’appunto – di collaborazione.

3. Misurate il risultato di ogni tua azione

Come avrete compreso, non esiste una formula magica che funzioni per tutti: per ogni azienda è un’avventura a sé, che verrà influenzata dal settore, dal target, dalla qualità dei contenuti, dalla tipologia di piattaforma.

Creare contenuti accattivanti, sponsorizzarli e interagire quanto più possibile con gli utenti non è sufficiente, per comprendere la riuscita o meno di una strategia è necessario fare il punto su like, commenti, condivisioni e KPI (Key Performance Indicator). Questi ultimi sono moltissimi e possono essere settati in base all’obiettivo a cui si mira: sono strumenti davvero sofisticati per la raccolta e la restituzione dei dati, ma anche per orientare le scelte e il lavoro da fare in modo informato, data-based.

Un’agenzia di marketing e comunicazione come V|Strategy affronta ogni giorno la sfida di rendere attrattiva e coerente la comunicazione social delle aziende B2B.
Lo facciamo sapendo che le potenzialità sono tantissime (e spesso non utilizzate al 100% nel business-to-business), soprattutto nella realtà molto competitiva degli ultimi anni. E un dato di fatto che possiamo svelarvi è che la qualità vende: è di fatto il modo più sicuro per aumentare la brand awareness, posizionarsi sul mercato e rimanere competitivi.

Volete iniziare o migliorare l’avventura social delle vostre aziende? Contattateci, lo faremo assieme.

Branding e colori: 5 domande per una brand identity di successo

La palette colori rappresenta l’anima di un brand: ma come mai la scelta del colore è così determinante nella definizione di una brand identity efficace e funzionale?

Nel cercare di rispondere, abbiamo chiesto aiuto a uno dei nostri grafici e, in occasione della Giornata Mondiale del Colore di oggi, abbiamo stilato con lui la lista delle 5 domande chiave da porsi per lo sviluppo di una brand identity capace di cogliere nel segno.

Buona lettura!

Il marketing e i colori

Dal punto di vista comunicativo, i colori sono delle vere e proprie leve in grado di veicolare e diffondere al mercato messaggi ben precisi e creare con il pubblico profonde connessioni emotive.

I colori contribuiscono difatti a:

  • Differenziare il brand: la scelta di determinati colori piuttosto che altri conferisce alla vostra brand identity unicità e distintività.
  • Comunicare emozioni e sensazioni: da sempre, i colori hanno il potere di suscitare in chi osserva precise emozioni e sensazioni esperienziali.
  • Attirare l’attenzione: colori vivaci e brillanti aiutano a richiamare più facilmente l’attenzione di utenti e consumatori.
  • Influenzare le decisioni di acquisto: i colori possono intaccare anche il modo in cui il target e il mercato percepiscono il vostro marchio.

Per addentrarci ora nel vivo della questione, abbiamo fatto al nostro grafico una serie di domande e condensato di seguito le risposte salienti al fine di aiutarvi a comprendere l’incidenza e la centralità che i colori assumono nella vostra comunicazione.

5 domande per una brand identity di successo

Ecco le 5 domande strategiche per la scelta della color palette più idonea a riflettere la vostra identità aziendale:

1. Quali sono i sentimenti e i valori che il vostro brand vuole trasmettere?

Prima di procedere con la definizione della vostra identità di brand, fondamentale è capire bene quali sono i valori alla base del vostro marchio, al fine di optare per i colori più idonei a suscitare nei vostri buyer e clienti le giuste emozioni.

Ogni colore possiede infatti una propria personalità in grado, attraverso specifiche associazioni mentali, di evocare in chi osserva emozioni diverse, soggettive e persino contrastanti.

Secondo la psicologia del colore, infatti:

  • Il rosso è associato a passione, energia, amore. È un colore caldo e positivo e viene solitamente utilizzato per richiamare l’attenzione, ma anche il pericolo [non utilizzatelo dunque nelle vostre call-to-action, mi raccomando]; ricrea sensazioni immediate in chi osserva, spingendo all’azione (Un esempio emblematico? Il rosso Coca-Cola).
  • Il Nero è il colore per antonomasia dell’eleganza e del lusso. È utilizzato soprattutto da aziende che vogliono trasmettere qualità, potere, serietà e concretezza.
  • Il blu, nelle sue sfumature, è il colore che evoca calma, stabilità, fiducia e affidabilità. Proprio per questo, nel digitale, è il colore scelto dal comparto tecnologico e data driven (pensate al blu scuro di Samsung o all’azzurro di Intel).
  • Il giallo è il colore che sprizza gioia e buon umore da tutti i pori. Non a caso, è utilizzato per evocare ottimismo e allegria, trasmettendo energia e vitalità (Un esempio è il giallo McDonald’s).
  • Il verde è il colore della natura; è utilizzato perlopiù da brand e imprese che vogliono trasmettere valori legati all’ambiente e alla sostenibilità.
2. Quali sono le caratteristiche e i tratti distintivi del marchio che la vostra brand identity deve riflettere?

I colori scelti per la vostra color palette devono essere in grado di trasmettere appieno non solo i valori fondamentali del brand, ma anche la personalità del marchio, enfatizzando al meglio le sue doti distintive.

Non a caso, secondo molti studi come questo, la scelta dei colori inciderebbe per l’80% sulla riconoscibilità di un marchio.

3. I colori della vostra palette si integrano con coerenza a tutti gli elementi della brand identity?

Non è solo questione di colori più o meno giusti: è necessario considerare anche come questi si sposano con gli altri elementi della visual identity, come il logo, il font e il pittogramma o monogramma utilizzato.

Un utilizzo coerente e calibrato del colore rende infatti il marchio facilmente riconoscibile e memorabile agli occhi del mercato e dei vostri clienti.

4. I colori scelti sono declinabili su tutte le tipologie di supporti, piattaforme e formati utilizzati?

Cruciale, per una resa ottimale della color palette, è considerare anche la versatilità dei colori nelle svariate applicazioni. Alcuni colori possono non rendere bene su schermi digitali, in stampa o viceversa. L’importante è testare i colori in tutti i contesti in cui saranno utilizzati, inclusi i supporti fisici e digitali, al fine di garantire che mantengano la loro efficacia e funzionalità attrattiva.

5. La vostra palette colori differenzia il vostro brand dai concorrenti?

In ultimo, ma non per importanza, verificate che i colori scelti si distinguano dai vostri principali concorrenti e che siano effettivamente riconoscibili.

Ad esempio, potreste ricercare quali sono i colori predominanti per il vostro settore di riferimento e quali quelli utilizzati dai vostri competitor, onde evitare che il vostro marchio finisca per confondersi con quello di altri attori già presenti sul mercato.

La scelta della color palette più idonea a risaltare e distinguere la vostra identità aziendale non può prescindere dunque dal considerare elementi essenziali quali, i valori di brand, il mercato di riferimento, i colori utilizzati dai competitor e le associazioni mentali più frequenti.

Se volete dare quel tocco in più alla vostra identità aziendale e scoprire come far emergere l’anima distintiva del vostro brand, contattateci!

I 5 libri di marketing (in italiano) da leggere nel 2024

Il vostro business ha bisogno di approcci innovativi? Vi serve una nuova prospettiva nel guardare alla vostra attività o più semplicemente vi rendete conto di non saperne abbastanza di marketing?
Dei buoni libri possono fare la differenza, suggerendo buone pratiche e procedure funzionali per la crescita della vostra azienda.

Bella notizia: per trovare quello giusto non servirà passare ore tra librerie e recensioni. Abbiamo scelto per voi i 5 libri che secondo noi è bene che marketer, dirigenti, startupper, sales manager e appassionati leggano nel 2024.
Non solo approfondimenti di marketing “puro”, ma un mix di letture a 360 gradi: dal design alla UX applicata al marketing, dalla strategia fino al branding e al copywriting.

Curiosi? Scopriamoli assieme!

Il nuovo marketing imprenditoriale. Creatività, innovazione, sostenibilità

di Philip Kotler
Hoepli, 2024

Partiamo da un assunto: il marketing tradizionale non funziona più. Nella continua evoluzione della nostra società Kotler dimostra come il marketing richieda creatività, spirito imprenditoriale e un avvicinamento a valori come quelli della sostenibilità e dell’empatia. Perché? Beh perché il post-Covid ha modificato significativamente la relazione brand-persone e oggi il nuovo modello è quello Omnihouse, con un focus sugli aspetti più imprenditoriali.
Kotler, di fatto il padre del marketing moderno, mette in discussione verità che ormai da anni si davano per assodate in un’ottica sempre orientata al 2030. «Il marketing per anni ha lavorato sui consumer insight per costruire bisogni a tavolino, ora si tratta di scegliere le tensioni sociali, culturali ed economiche più urgenti, portarle dentro i propri modelli di business e gestire l’impresa a favore del bene comune».
Uno dei libri imprescindibili per marketer, manager e dirigenti di qualsiasi tipo.

La mappa delle culture

di Erin Meyer
ROI Edizioni, 2021

Inserita tra i 50 pensatori più influenti al mondo, Erin Meyer dimostra che nel nostro mondo sempre più multietnico e senza confini, il marketing non possa prescindere dal conoscere le diversità culturali. Così nel 2021, dopo dieci anni di studi e ricerche, dà vita a questo libro che risponde a domande come: Qual è lo stile manageriale più adatto per una società danese? Qual è il processo decisionale tipico di un’azienda giapponese?
Le risposte, ricche di spunti e considerazioni, sviluppano per ogni cultura i parametri del comunicare, valutare, persuadere, guidare, decidere, fidarsi, dissentire e programmare. «La morale della storia è palese: potete essere giudicati comunicatori di prima qualità nella vostra cultura di origine, ma ciò che funziona in patria potrebbe non funzionare altrettanto bene con persone provenienti da altre culture».

Don’t Make Me Think. Un approccio di buon senso all’usabilità web e mobile

di Steve Krug
Tecniche nuove, 2014

Un libro che è di fatto un sempreverde per chiunque si occupi di design di siti web. Krug ne ha scritto la prima edizione nel 2000 e nel 2014 è arrivato alla terza, con esempi aggiornati, tre nuovi capitoli e un focus mirato sulla usabilità da mobile.
L’assunto di base rimane lo stesso: un sito può essere fichissimo, ma se non è funzionale o intuitivo non serve a nulla. Per questo Krug dimostra con esempi pratici e aneddoti divertenti come trasformare un buon sito in un ottimo sito, anche lato tassi di conversione.
Insomma, una pietra miliare per web designer e sviluppatori alle prime armi, ma anche un libro da rileggere per gli esperti del settore, che non manca di ricordare: «il tuo ruolo principale dovrebbe essere condividere ciò che sai, non dire alla gente come dovrebbero essere fatte le cose».

Scrivi più bianco. Trova il tuo stile, comunica con parole vibranti

di Chiara Gandolfi
Zandegù, 2018

Ideale per chi deve scrivere, ma riesce ancora a passare pomeriggi fissando invano uno schermo vuoto. Per Chiara Gandolfi lo stile è il risultato di un allenamento giornaliero costruito su case studies, informazioni, esercizi e suggerimenti mirati. Lo scopo? Liberare la propria creatività sul foglio bianco per puntare allo stile in un modo più brillante che mai.
Per questo il manuale inizia con un riscaldamento, fondato sulla «complicità tra coppie famose»: un brand e il suo pubblico, la verità e la persuasione, la forma e il contenuto. È poi la volta delle idee e della preparazione alle buone idee: una volta arrivate, è tutta questione di stile.
Infine, come una Marie Kondo delle parole, insegna a eliminare il superfluo: «Essere sintetici è un’abilità che ci fa capire quanto conta ogni parola, che ci fa arrivare meglio e più direttamente alle persone».

Ruba come un artista

di Austin Kleon
Vallardi, 2013

Spigliato e divertente come tutte le cose che si possono leggere in un giorno: Ruba come un artista è davvero un manuale pratico per qualsiasi professionista.
E siccome strategia e creatività fanno rima nel marketing, andrebbe tenuto sul comodino, per superarsi all’indomani.
La cosa più bella di questo libro di Austin Kleon? Che non dice nulla di nuovo, ma a leggerlo sembra di avere un’illuminazione a ogni pagina.
E quindi ecco a voi alcuni scontatissimi ed essenziali mantra per la giornata del libro 2024:
«Nulla è originale»
«Non buttare via niente di te»
«La creatività è sottrazione»

Allora, da quale libro volete cominciare per affinare il vostro marketing?

Ricordate, se avete bisogno di supporto nel puntare ai vostri obiettivi di business, contattateci!
Sapremo aiutarvi o – se dovesse bastare – consigliarvi l’ennesima lettura.

Che Tone of Voice ha il vostro brand?

Oramai anche chi fa shopping di manuali di marketing all’autogrill lo sa: il tone of voice – alias ToV – è uno degli elementi essenziali da definite (per definirsi) quando si comunica.

Che siate un’azienda business-to-business o business-to-consumer, definire il tone of voice è uno dei primissimi step per architettare una strategia di comunicazione coi fiocchi e distinguervi dalla concorrenza.

Ma perché definire l’esatto tone of voice è necessario a posizionare la vostra azienda nella mente dei vostri clienti o personas ideali?

Nel rispondere alla domanda, vi forniremo anche qualche esempio utile a comprendere caratteristiche e differenze tra un tono di voce B2C e uno B2B.

Tov: perché scegliere quello giusto è fondamentale?

Proviamo a dare una definizione chiara e concisa di tone of voice:

È il tono con cui volete che la vostra azienda parli al suo pubblico e che contribuisce a donare carattere, personalità e umanità al vostro brand.

Il tono di voce ha a che fare dunque non con le parole, ma con il modo di comunicare, ossia lo stile comunicativo.

Ma perché è così importante che venga definito a priori all’interno della vostra strategia di marketing? Perché è proprio in base al vostro specifico tono di voce che verrà strutturata la copy strategy e, in toto, quella che sarà la vostra comunicazione aziendale online e offline.

Per questo motivo, il tov deve essere in perfetta armonia con la vostra brand identity.

Essenzialità ed efficacia comunicativa si manifestano in relazione alla coerenza.
È chiaro che un brand con un tone of voice chiaro ed efficace è un brand che comunica con una sola voce, coerente e riconoscibile, indipendentemente dalle piattaforme utilizzate.

Tov: quale scegliere?

Valentina Falcinelli in Testi che parlano sintetizza i diversi tipi di voce aziendale raggruppandoli all’interno di quattro categorie, che sono

  • Freddi: fanno parte di questa categoria i toni di voce formali e/o istituzionali.
  • Neutri: si tratta dei toni più adottati all’interno dei contesti business in quanto permettono alle aziende di rimanere su un piano strettamente professionale.
  • Caldi: ovvero i toni generalmente informali, colloquiali e amichevoli. Sono spessissimo impiegati all’interno dei contesti B2C, ma possono essere impiegati anche da aziende B2B.
  • Colorati: un esempio sono i toni ironici e/o aggressivi.

Tov: B2C VS B2B

Fin qui tutto chiaro.

Definire il proprio tono di voce è cruciale per conferire a brand e aziende quella dimensione umana necessaria ai suoi interlocutori per immedesimarsi e relazionarsi con essi.
Ma in cosa si distingue un tono business-to-business da uno business-to-consumer?

Al di là di obiettivi, settore, target o personas, un tono di voce puramente B2C è riconoscibile perché:

  • Informale: le aziende che comunicano al consumatore finale, lo fanno in genere adottando un tono di voce semplice e vicino al linguaggio quotidiano per creare vicinanza con il pubblico.
  • Empatico: un tono aperto e disponibile fa sì che la propria audience di riferimento si immedesimi più facilmente nel brand generando engagement.
  • Emozionale: per fare breccia, un tono B2C non può prescindere dal far leva sulle emozioni; queste consentono infatti di creare e mantenere una connessione con il target, che si riconosce nella narrazione e negli stati d’animo creati dal brand.

Un esempio di tone of voice fuori dagli schemi

Se volessimo fare un esempio di brand che non le manda proprio a dire, emblematico è il caso di Taffo Funeral Service.


Feed Instagram di Taffo Funeral Service

Ironico e decisamente eccentrico: con il suo tono di voce pungente e senza peli sulla lingua, Taffo è riuscito a conquistarsi letteralmente il pubblico (e con non poche critiche!).
Come? Giocando su un tema tabù come quello della morte.

Adottare infatti un tono di voce ironico potrebbe non essere la scelta più ovvia per un brand che si occupa di servizi funerari. Fatto sta che lo stile comunicativo di Taffo, unico e riconoscibile, ha saputo rompere gli schemi attuali in modo decisamente inaspettato e dirompente, catturando l’attenzione del pubblico e differenziandosi dalla concorrenza.

Tov B2B: Venostes, un caso diverso da tanti

Se nel contesto consumer, i principali tone of voice sono quelli caldi e informali, lato business la scelta sembra invece ricadere quasi esclusivamente su toni freddi o neutri – perlopiù professionali – quasi come se fosse l’unica opzione valida e applicabile in contesti business-to-business.

Il che sembra abbastanza ovvio se pensiamo che – specie quando si tratta di imprese che vendono prodotti e servizi ad altre imprese – la prima immagine che tutti noi abbiamo è quella di un’azienda che comunica in modo estremamente attento, serio e professionale, senza fare il benché minimo accenno a un qualche briciolo di emozione.

La verità è che anche le aziende B2B possono adottare un tono diverso da quello puramente formale o neutro (ovviamente ciò dipende sempre dall’essenza o identità aziendale!).
Come nel caso di Venostes, un’azienda venostana che rifornisce grossisti, punti vendita, bar, hotel e gelaterie con le sue forniture esclusive di gelati e sorbetti prodotti nel cuore dell’Alto Adige.

Un tono professionale ma gentile

Nonostante si tratti di un’azienda B2B, il suo tono di voce è informale e caldo: il suo stile comunicativo esprime e enfatizza desiderabilità, autorevolezza, innovazione e territorialità, riflettendo appieno i valori alla base del brand.

Lo stile piuttosto accogliente emerge soprattutto attraverso i colori utilizzati: colori accesi, ma al tempo stesso delicati e raffinati che, assieme alla palette colore scelta per la visual identity del brand, consentono di rimanere nel campo semantico dell’autorevolezza e della professionalità tipico del settore B2B.

In questo caso specifico, il tone of voice è perfettamente coerente e in linea con l’identità di Venostes: un’azienda dall’anima genuina che non solo produce i suoi gelati utilizzando sole materie prime fresche e selezionate, ma rispetta e supporta il suo territorio lungo tutta la filiera produttiva.

Le sue qualità, unite alla continua ricerca nella sperimentazione e ideazione di nuove ricette uniche e ricercate, permettono a Venostes di distinguersi nel tempo sino a divenire simbolo di eccellenza nella produzione di gelato.

Non esiste un tono di voce migliore di altri così come non esiste un solo tono di voce più o meno adatto a rappresentare la vostra essenza di brand.
Esistono invece molteplici sfaccettature, esiste uno studio approfondito e una coerenza comunicativa che deve essere rispettata affinché la vostra comunicazione non risulti banale, caotica e dispersiva.

Siete ancora alla ricerca del tone of voice ideale e su misura per la vostra azienda? Contattateci!
Saremo più che felici di aiutarvi a trovare quello che più si adatta alla vostra identità aziendale.

A cosa serve il marketing?

Non serve a vendere neve agli eschimesi.

Inoltre, gli “eschimesi” là fuori ormai hanno fatto il callo con molti metodi da piazzisti: l’aria sta cambiando e deve cambiare.
Non è più il momento di contrapporre profitti alle esigenze del cliente che ormai è esasperato da “tecniche di marketing” dozzinali, metodi da psicologia d’accatto e bisogni indotti.
Se tutti sappiamo e diamo per scontato che il livello di attenzione oggi è più basso che mai, cerchiamo di dare per scontata un’altra cosa palese: chi tratta male i propri clienti non è più considerato “un grande”.

Le responsabilità del marketing

Perché parliamo di responsabilità?

Perché la nostra è l’arte della convinzione. In altre parole: dobbiamo persuadere le persone della bontà della nostra offerta per portarle a un passo dall’acquisto.
A questo punto avrete forse compreso perché parliamo di responsabilità: perché la situazione cambia notevolmente se dobbiamo persuadere il pubblico della validità di un prodotto di qualità, oppure se dobbiamo invece stimolarlo all’acquisto di un articolo di bassa qualità che non soddisfa effettivamente le sue necessità.

Il marketing che ci serve

Il marketing che ci serve è un altro.

Philip Kotler in molto libri (e anche nell’ultimo “Il nuovo marketing imprenditoriale”) racconta di un altro tipo di marketing.
Chiamatelo se volete rigenerativo, di comunità, o imprenditoriale, poco importa la buzzword con cui vogliamo etichettarlo; l’importante invece è che parliamo di un marketing che ri­spon­da­ alle esigenze vere della propria comunità. In altre parole, un marketing che non solo smetta di essere prodotto-centrico per essere cliente-centrico (è una delle lezioni essenziali di Kotler), ma che faccia un passo in più: il nostro marketing può diventare uno strumento al servizio delle esigenze più virtuose della nostra società.
Come?
Aiutando le aziende a sviluppare prodotti e servizi utili e virtuosi. C’è un disperato bisogno di nuove invenzioni che ci aiutino a salvare il mondo e a migliorare le economie e il benessere dei territori; nostra è quindi anche la responsabilità di saper convincere milioni di persone a spendere i propri soldi in investimenti più proficui per tutti: pannelli solari e coppette mestruali riutilizzabili, attività di prossimità nei nostri quartieri e artigianato locale (e l’elenco potrebbe continuare ancora per molto).

SPOILER: il marketing si può anche fare bene

Forse non vi roviniamo il finale dell’ultima serie Netflix che vi ha fatto scattare la FOMO se vi riveliamo una cosa semplicissima: il marketing si può anche fare bene.
Ma perché una dichiarazione di questo genere solitamente ingenera perlomeno un certo stupore?

Perché se anche voi che siete arrivati a leggere fin qui pensate è che il marketing viene fatto da persone che hanno poca cura del proprio cliente, tanto che queste non vi dedicano più di 10 minuti dopo che hanno incassato il bonifico (e poi vi fanno tutti i contenuti sui social con lo stampino)… bè, la realtà non è molto più sfumata.
Anzi, spesso va proprio così.

Eppure è allo stesso tempo vero che il marketing può (e dovrebbe!) essere fatto bene.
Ma questo si verifica soltanto quando chi lo porta avanti è cosciente di muovere una grande macchina di persuasione in grado di produrre e macinare: siti internet, ads, post su Instagram, articoli di blog, company profile, articoli di giornale, brochure prodotto per i commerciali dell’azienda.
Chi non ha contezza e responsabilità di come e cosa si dovrebbe fare col marketing si limita invece spesso a vendervi piani ads affrettati e gestioni content abborracciate.

Cosa dovete chiedere alla vostra agenzia di marketing

Cosa, allora, non può prescindere in un marketing fatto bene?

Proviamo a fare una sintesi delle fasi che portano alla messa a terra del marketing mix:

1. Fase preliminare

Il cliente e agenzia di marketing si incontrano e nei primi brief l’agenzia interrogherà il cliente per capire storia dell’azienda, target, mercato, obiettivi, budget.
È un momento importantissimo: il marketer non è magari né il vostro prete né il vostro psicologo, ma vi dovete fidare e dovete sentire di poter lavorare assieme. Da un lato il marketer non deve tirarsi indietro nel farvi domande sullo stato della vostra azienda (niente di buono verrà mai fuori a partire da dati incompleti o falsati), dall’altro il cliente deve sentirsi a proprio agio.

2. Approvazione della strategia

Una volta avuti dal cliente tutti i dati che possono servire, l’agenzia di marketing inizia a lavorare su una proposta di strategia. È il dietro le quinte poco appariscente (non troverete molti reel di instagrammer e video di tiktoker su questa parte) ma che NON può essere sbagliata: si inizia studiando i KPI a disposizione, si fanno tutte le analisi di mercato e competitor possibili e finalmente lo stratega può redigere un documento strategico da sottoporre al cliente.

3. Dalla strategia all’operatività

Il documento strategico presentato al cliente ha una doppia funzione. La prima è descrivere la situazione “as is”, cioè come è adesso: questo per confermare a entrambe le parti che la storia del cliente e le sue necessità sono ben chiare. La seconda è saper delineare il futuro che il cliente si aspetta. Come? Chiarendo prima forze e debolezze (fatevelo fare con una SWOT Analysis o con qualche altro sistema ma fatevelo fare) e poi esplicitando gli obiettivi.

E qui finisce la parte di strategia e inizia il cosiddetto marketing tattico (o operativo).

Nello stesso documento, dovrete trovare anche come verrà implementata la strategia di cui sopra: ma attraverso quali canali? Vi basterà un sito ben fatto e un paio di social? Meglio aggiungere oltre alla gestione social delle newsletter o dell’advertising (su LinkedIn? Google? Meta o TikTok?).

E avete considerato anche l’offline (grafiche per flyer, pubblicazioni sui giornali cartacei)?

I canali del marketing mix sono tanti e non c’è una soluzione unica piglia-tutto, vincente per tutte le aziende.
Diffidate allora di chi anticipa molto i tempi e vi prospetta già un pacchetto marketing compreso di strategia + piano tattico con tanto di budget già al primo o secondo incontro con voi. Quel marketer aveva la presentazione giù pronta in una cartella del computer: ha solo fatto una copia e messo il vostro nome al posto di quello del cliente precedente.

Chiedete di più

Oggi più che mai il cliente merita di essere trattato con rispetto. Il primo lavoro di chiunque si occupi seriamente di marketing è un lavoro sulla verità e non va mai dimenticato, da entrambi i lati.
Per questo, qualche riga più in su, abbiamo voluto rimarcare come sia importante l’incontro tra Cliente e Agenzia di marketing: ci si deve annusare, conoscere, capire e fidarsi.

Che bel mondo sarebbe vedere clienti che girano senza coltello in bocca ma felici di avere degli strumenti che velocizzano e migliorano l’incontro con le soluzioni alle loro reali esigenze!

Buon marketing

Pinterest e B2B: non l’avete ancora considerato?

Nel definire una strategia di marketing aziendale B2B la soluzione “LinkedIn” è quella che pare ovvia al 90% delle aziende. Bene, corretto. Ma perché sottovalutare Pinterest?

Di fatto la piattaforma fondata nel 2010 da Evan Sharp, Ben Silbermann e Paul Sciarra continua a confermarsi uno strumento straordinario sia per attrarre potenziali clienti che per incrementare le vendite. Come?
Andiamo a scoprirlo assieme.

Pinterest: molto più che un social

Il social network che non è un social network.

Ciò che è Pinterest ce lo dice Pinterest stesso: «è un motore di ricerca visiva per trovare idee». E non solo, perché è anche la collezione di immagini più fertile della rete. Pinterest offre ispirazioni visive in qualsiasi ambito e si attribuisce proprio alla sua tendenza puramente “ispirazionale” il fatto che le persone vadano su Pinterest per se stesse, più che apparire, per vivere meglio nel mondo reale, più che rifugiarsi in quello virtuale, come già nel 2015 dichiarava l’Head of Brand David Rubin.

E altra buona notizia: il bacino che un’azienda può trovare su Pinterest è già caldo, e visita la piattaforma con l’intenzione di acquistare. Si tratta di super acquirenti, pronti a spendere il doppio rispetto a chi compra su altre piattaforme social.

Pinterest e B2B

Come già accennato Pinterest si rivolge a un mercato che all’80% è a domanda diretta: tra i suoi acquirenti ci sono anche aziende di ogni tipo, alla ricerca del prodotto e del servizio giusto.

Per un’azienda che vuole farsi trovare, i vantaggi offerti da questa piattaforma lato azienda sono importanti:

  • Collegamenti incorporabili in ogni Pin: ogni post Pinterest (chiamato Pin, per l’appunto) può contenere un link. Un fattore non da poco, in grado di generare  un traffico verso siti ed e-commerce maggiore del 33% rispetto a Facebook.
  • La durata dei Pin è a lungo termine e può arrivare fino a 4 mesi: un dato importante se si considera che un post LinkedIn ha una vita media di 24 ore.
  • Il numero di follower non conta molto e non contribuisce alla visibilità dei tuoi contenuti: la tua azienda potrà ottenere buoni risultati fin da subito.
  • L’advertising di Pinterest è più economico e più efficace: il 55% degli utenti utilizza la piattaforma alla ricerca di prodotti specifici e, di conseguenza, le sue campagne performano il quadruplo di quelle sugli agli canali social.

Farsi trovare su Pinterest: un profilo ottimizzato

Pinterest e B2B sembrano dunque un’accoppiata vincente, ma potete aumentare ulteriormente le probabilità di successo per la vostra azienda ottimizzando il vostro profilo. Perché? Perché ciò che conta su Pinterest – come abbiamo già detto – è farsi trovare. Per riuscirci è fondamentale che la vostra azienda imposti le giuste keywords, in un’ottica fortemente SEO: l’obiettivo deve essere quello di far sì che l’algoritmo di Pinterest capisca nel dettaglio chi siete e di cosa vi occupate, perché possa poi mostrarvi alle aziende più pertinenti.

Per questo il nostro consiglio è quello di creare un documento che riassuma le 20 keywords più pertinenti per il vostro business in questo momento.
Infine: non scordare di inserire una o due keywords nel nome del tuo business e nelle informazioni e partecipa al Programma commerciante verificato. Il tuo profilo così performerà meglio!

Pinterest è per tutte le aziende B2B?

Tra i vari stereotipi attorno al connubio di Pinterest e B2B c’è l’idea che sia una piattaforma per aziende del settore artsy, moda o design. Ma questo è, per l’appunto solo uno stereotipo, perché su Pinterest si cerca davvero di tutto. A tutte le aziende B2B converrebbe stare su questa piattaforma, soprattutto perché il 96% delle ricerche più popolari non include riferimenti a brand: gli utenti cercano solitamente il prodotto, il servizio.

Ciò che è importante per farsi notare e conoscere?
Avere delle immagini originali, di ottima qualità e risoluzione, in formato verticale. Pinterest dichiara infatti che l’80% degli utenti settimanali hanno scoperto un nuovo brand o un nuovo prodotto proprio grazie a un’immagine sulla piattaforma.

Pinterest e B2B: un investimento sicuro

Nel terzo trimestre del 2023 la piattaforma ha registrato un +15% nell’aumento dei ricavi e dei profitti: un risultato dovuto all’incremento degli utenti e della loro fidelizzazione, ma anche alla capacità di Pinterest di monetizzare il tempo speso sulla piattaforma.

Tra le decisioni vincenti del 2023, infatti, c’è anche il potenziamento dello spazio pubblicitario sull’app, che ha portato una crescita nelle impression degli annunci del 26% rispetto allo scorso anno. Di conseguenza il prezzo delle inserzioni è calato del 12%, portando il livello di monetizzazione a crescere significativamente.

Un quadro decisamente ghiotto (e confortante!) per un’azienda che vuole puntare al B2B.

Come avrete capito, Pinterest rappresenta un’ottima opportunità per le aziende che vogliono puntare sul B2B. Ora non vi resta che preparare il vostro documento keywords, una raccolta delle migliori immagini della vostra azienda e dei vostri prodotti (in formato rigorosamente verticale!) e inaugurare l’avventura.

Non preoccupatevi, rimaniamo a vostra disposizione per qualsiasi info e necessità.
Contattateci!