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Giugno 7, 2024

Le buzzword di cui non abbiamo bisogno (nel marketing)

Le buzzword sono termini o espressioni che diventano di moda in un periodo brevissimo: ieri non esistevano nemmeno e oggi pervadono le discussioni su internet e tra gli addetti ai lavori.

Soprattutto nel marketing: pochi campi sono suscettibili ai trend del momento come il nostro. E tra di noi si muovo alcune buzzword che fanno sembrare “cool” e “sul pezzo” molti marketer ma che forse forse non meritano tutta questa attenzione. Anzi.

Disruptive Marketing

Quando parliamo di Disruptive marketing ci riferiamo a strategie che rompono gli schemi tradizionali, introducendo nuovi modi di pensare e agire che possono trasformare interi settori. In teoria.
Diciamo in teoria perché là fuori c’è chi vede il disruptive marketing ovunque (mettiamo qui a lato un meme esplicativo di questa tendenza).

Tanto che fioccano i marketer che usano questo termine per descrivere qualsiasi novità, anche marginale, nel tentativo di catturare l’attenzione del cliente o dell’utente sensibile alle nuove “strategie” con un post provacatorio e che promette faville sul vostro social di preferenza (ma spesso li vediamo su Facebook e, purtroppo, anche su LinkedIn).

Ma considerando che di Steve Jobs ne nasce uno ogni 20 anni, che non nascono sotto gli alberi nemmeno geni del marketing in grado di rivoluzionare il mercato con campagne di disruptive marketing ovviamente ne abbiamo, ma chi vi parla dicendo che metterà in piedi una strategia “disruptive” per voi…spesso non ha né il budget né le capacita per farlo davvero.

Se cercate nei vostri ricordi di clienti italiani, non a caso vi verrà in mente solo UN esempio forte (sì, sono loro, quelli di Taffo) mentre, se siete dei professionisti del marketing avrete in mente anche altri esempi, ma tutti da brand esteri: il “don’t buy this jacket” di Patagonia, oppure la pubblicità di Netflix per Sanremo 2024 (“Lo sappiamo, questa settimana guarderete altro.  / Ci vediamo la prossima.”)

Growth Hacking

Growth hacking stava a significare una strategia di marketing che utilizza di tattiche creative e cost-effective per aumentare rapidamente la base utente e le entrate di un’azienda, spesso con budget limitati. Forse avrete già capito dove stava il problema.

In poche parole e come potrebbe dire chiunque lavori nel marketing digitale da più di 6 mesi: cosa c’è di nuovo? Ovvero: anche prima che qualcuno coniasse questo termine (a fine anni ’10 del 2000), chi non faceva tattiche di marketing (più o meno lampo) per aumentare rapidamente le vendite?
I growth hacker che non cedono mai diranno che il GH è una cosa diversa, che si tratta di elaborare delle “blietz-krieg” di advertising in grado di dire in uno-due-tre mesi se un prodotto è scalabile.

Sia come sia, in quasi 10 anni di vita il significato è diluito e il growth hacking è solo un’altra buzzword abusata soprattutto perché molti cosiddetti esperti vantano tassi di crescita straordinari (il 950% in due giorni), attribuiti a “growth hacks”, ma quello che tendono a nascondere è che i loro “dati” non sono calcolati su periodi statisticamente rilevati oppure sono elaborati facendo del cherry-piking (sì: sono andati a prendere quelle due settimane in cui tutto è girato per il verso giusto).

Principio di Pareto

Il Principio di Pareto, noto anche come la regola dell’80/20, è un concetto ampiamente riconosciuto nel mondo del marketing. Sarà apparso anche a voi un post da qualche parte per illustrarvi come potete stare comodi comodi mentre quel 20% di lavoro vi aiuterà a tirare su l’80% del profitto, no?

Il principio generalmente suggerisce che l’80% degli effetti deriva dal 20% delle cause. La sua applicazione indiscriminata ne ha fatto invece una buzzword citata per giustificare la concentrazione delle risorse sul 20% dei clienti che generano l’80% dei profitti (le variante di questa formuletta sono infinite: divertiti a inserire “Principio di Pareto” nella barra di ricerca di Facebook per vederne le mutazioni).

Senza andare troppo per il sottile, si può facilmente comprendere come l’assunzione che la regola dell’80/20 sia universale significhi ignorare la complessità e la dinamicità dei mercati (di qualsiasi mercato) dove le proporzioni possono variare significativamente.

Quello che vediamo fare da nostri colleghi e sedicenti divulgatori economici è purtroppo usare questa formuletta come testa da ariete per sfondare l’interesse di utenti poco educati all’economia. A chi non fa piacere pensare che “l’80% del fatturato arriva dal 20% dei tuoi clienti” (quindi: liberati degli altri clienti!); o che “con il 20% del lavoro si può ottenere l’80% dei risultati” (quindi: mettiti comodo…); o ancora che “nel marketing il 20% delle tue attività produce l’80% dei tuoi risultati” (insomma: basta azzeccare la tattica giusta, servono giusto un paio di ads su cui buttare soldi e il gioco è fatto!).

La realtà, purtroppo, è sempre più complessa di così.
Per questo crediamo che si debba partire da strategie vere nel marketing.