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Strategia, SEO e AI Overview: come cambiano le regole del gioco?

Viviamo un momento di profonda trasformazione. L’introduzione dell’AI Overview di Google non è un semplice aggiornamento di algoritmo, ma un vero cambio di paradigma che sta rivoluzionando l’approccio SEO tradizionale e non solo. I contenuti restituiti all’interno della pagina risultati non vengono più letti, ma riassunti.

Le ricerche non portano più (solo) a una lista di link e siti web, ma a risposte esaustive al punto giusto elaborate dall’intelligenza artificiale in 0,52 secondi circa.

In questo scenario, è ancora più cruciale porsi una domanda: la tua azienda ha una strategia di content marketing realmente solida e orientata alla SEO?

Non si tratta solo di contenuti, ma di visione

Ogni giorno, manager e imprenditori investono risorse per produrre articoli, aggiornare siti web, creare pagine di servizio o sezioni blog. Ma quanti di questi contenuti sono realmente strategici? Quanti contenuti sono pensati per rispondere non solo agli utenti, ma anche alle logiche dei nuovi motori di ricerca guidati dall’IA generativa?

Avere una strategia SEO oggi non significa solo ottimizzare un sito con una manciata di keyword. Significa progettare contenuti in grado di emergere all’interno di una SERP che sta diventando un flusso informativo sempre più controllato dall’intelligenza artificiale, che seleziona, sintetizza e propone solo le informazioni più rilevanti agli utenti che le cercano.

Google AI Overview: una rivoluzione silenziosa ma profonda

L’AI Overview di Google promette (e minaccia) di cambiare radicalmente il modo in cui i contenuti aziendali vengono scoperti online.

In questa nuova architettura della ricerca AI driven:

  • i contenuti generici vengono ignorati.
  • la qualità vince sulla quantità.
  • l’autorità e la verticalità saranno premiate.

E le aziende che continueranno a creare contenuti superficiali, scollegati da una strategia ben orchestrata e coerente, rischiano di sparire dai radar digitali.

La fine del content marketing “a sentimento”?

Fino a oggi, molti blog aziendali sono stati usati come vetrine o contenitori occasionali di notizie, che fanno da calderone ad articoli pensati più per il volume che per la sostanza. Ma in un mondo dove è l’AI a decidere cosa è rilevante, solo i contenuti realmente strategici, originali, autorevoli e ben strutturati avranno possibilità di emergere.

VStrategy®: contenuti con uno scopo (e con dei risultati)

Non ci limitiamo a “scrivere per il web”: progettiamo ecosistemi digitali strategici, dove ogni contenuto è pensato per supportare gli obiettivi di business del cliente e performare nella nuova era dominata dalla ricerca AI.

  • Analisi data driven: ogni strategia nasce dall’analisi del mercato, dei competitor e delle query di ricerca effettive degli utenti.
  • SEO evoluta: pensata non solo per Google, ma per l’intelligenza artificiale che lo guida. Creiamo contenuti di valore, che sono ottimizzati con una cura particolare per semantica, entità e architettura di ogni singola informazione.
  • Contenuti editoriali verticali: utili, approfonditi, posizionanti. Non solo per farsi trovare nel posto giusto al momento giusto, ma per farsi scegliere.
  • Monitoraggio e ottimizzazione continua: perché i dati parlano. E il nostro lavoro è ascoltarli.

È ora di fare una scelta

In un panorama in cui le regole della visibilità online cambiano velocemente, non c’è più tempo per improvvisare.

L’AI cambierà il modo in cui i contenuti vengono letti, selezionati e premiati. Ma non potrà mai sostituire una strategia di contenuti web e blog di valore.

Affidarsi a un’agenzia capace di unire visione strategica, dati, SEO e contenuti ad alto valore aggiunto attraverso un approccio multicanale è oggi più che mai una scelta decisiva per emergere. Trasforma il tuo sito e il tuo blog in strumenti concreti di crescita, contattaci.

Cosa significa per le aziende fare email marketing oggi?

Fare email marketing significa molto più che inviare una newsletter generica: si tratta di costruire relazioni autentiche, generare valore e offrire esperienze personalizzate che catturino davvero l’attenzione del vostro pubblico.

Secondo il report 2025 di GetResponse, che analizza milioni di campagne inviate in Italia e nel mondo, il nostro Paese si distingue per un tasso medio di apertura delle email del 44,38%. Un dato che esprime un segnale concreto: gli italiani si fidano ancora dell’email marketing, a patto che questo sia ben fatto.

Ma cosa significa “ben fatto”? Entriamo nel dettaglio.

Perché l’email marketing è ancora il cuore della comunicazione aziendale

In un ecosistema digitale frammentato, in cui la competizione per attirare l’attenzione di clienti e consumatori è sempre più agguerrita, l’email marketing si conferma come uno degli strumenti strategici soprattutto oggi. Tre sono i motivi principali:

  1. Connettività diretta. L’email offre un canale di comunicazione personale e diretto, non filtrato dagli algoritmi delle piattaforme social. Siete voi a decidere a chi, cosa, quando e come comunicare.
  2. ROI imbattibile. Per ogni euro speso in email marketing, le aziende italiane generano un ritorno economico tra i più alti rispetto ad altri canali digitali. Con la giusta strategia, il ROI può superare il 40%.
  3. Adattabilità. Con l’evoluzione tecnologica, l’email si è trasformata in un canale dinamico, personalizzabile e capace di seguire i trend più avanzati, come l’intelligenza artificiale e i contenuti interattivi.

Trend email marketing per il 2025: cosa ci dicono i dati di GetResponse?

Le migliori strategia di email marketing oggi si basano infatti su personalizzazione, automazione e analisi dei dati.
Ecco i cinque pilastri chiave evidenziati dal report GetResponse 2025 per una strategia di email marketing coinvolgente e di valore:

  1. Personalizzazione avanzata
    La vostra audience vuole sentirsi ascoltata, non essere parte di un messaggio generico. La personalizzazione basata sui dati comportamentali (ad esempio, abitudini d’acquisto, interessi o interazioni precedenti) aumenta il tasso di apertura e di conversione. La personalizzazione email marketing è essenziale per creare esperienze su misura che aumentano il coinvolgimento. Non è più il tempo di “Caro cliente”, ma di “Ciao Anna, ecco un’offerta perfetta per te!”. In questi casi, la personalizzazione  è un aspetto importante che dipende soprattutto dal tono di voce scelto per la comunicazione aziendale, sia dal preciso taglio che volete dare a ogni singola newsletter (es: commerciale, informativo ecc.).
  2. Automazione intelligente
    Le campagne automatiche performano il 30% in più rispetto a quelle inviate manualmente. Grazie all’automazione, potete inviare email mirate nei momenti giusti, come auguri di compleanno, follow-up dopo un acquisto o promozioni specifiche.
  3. Mobile-First
    Oltre il 60% delle email in Italia viene aperto da smartphone. Questo significa che ogni messaggio deve essere ottimizzato per dispositivi mobili: layout chiari, call-to-action evidenti e immagini leggere per garantire velocità di caricamento.
  4. Contenuti interattivi
    L’email non è più statica: pulsanti cliccabili, video incorporati, quiz e sondaggi rendono l’esperienza più coinvolgente. Se i lettori interagiscono direttamente dalla loro casella di posta, il coinvolgimento cresce in maniera esponenziale.
  5. Attenzione alla Privacy
    Con le nuove normative sulla protezione dei dati (come il GDPR), rispettare le preferenze degli utenti non è solo obbligatorio, ma anche un elemento chiave per costruire fiducia. Email trasparenti e permessi espliciti fanno la differenza.

Best practice email marketing 2025: da dove partire?

Ecco alcuni dei nostri consigli da seguire per rendere efficace la vostra strategia di email marketing aziendale:

  • Segmentate il pubblico. Non tutti i vostri contatti sono uguali. Divideteli per interessi, comportamento o geolocalizzazione creando delle mailing list specifiche di contatti per inviare messaggi rilevanti e aumentare le conversioni. La segmentazione email marketing permette di inviare contenuti più pertinenti e migliorare il tasso di apertura.
  • Testate ogni elemento della vostra campagna email. Dai titoli agli orari di invio, i test A/B vi aiutano a capire cosa funziona meglio per il vostro pubblico.
    Monitorate le metriche chiave (o KPI), ma non limitatevi al solo tasso di apertura. Analizzate anche i click, le conversioni e i feedback così da capire che cosa attira di più i vostri lettori e ottimizzare al meglio le vostre campagne. Inoltre, analizzare e tenere traccia dei KPI di email marketing, come il tasso di apertura e di conversione, è essenziale per ottimizzare le campagne
  • Generate valore concreto. La chiave per una campagna mail di valore è offrire contenuti utili, esclusivi e in linea con i bisogni e gli interessi del target destinatario.

Ma quindi cosa significa per le aziende oggi fare email marketing? Significa mettere il cliente al centro, sfruttando dati e tecnologia per creare una comunicazione che sia personale, utile e coinvolgente. Non lasciatevi sfuggire l’occasione di creare valore per i vostri clienti: il futuro del marketing passa (anche) dalla vostra casella di posta.

Se avete ancora dubbi, domande o state pensando di coltivare la fedeltà dei vostri clienti attraverso una strategia di email marketing ad hoc, contattateci. La definiremo insieme.

Blog aziendale: perché è fondamentale nel B2B

Nel B2B il blog aziendale è una risorsa strategica importante per raggiungere gli obiettivi di business proposti: crea engagement con i lettori, facilita la visibilità di tutte le pagine del sito dell’azienda grazie alla SEO e migliora l’autorevolezza di un brand.

Non è un caso che nel 2023, secondo il Content Marketing Institute, il 79% dei reparti marketing di aziende B2B abbia scelto il blog come canale comunicativo per la propria attività: una percentuale altissima che segue solamente quella dei social media.

Ovviamente il blog è uno strumento la cui efficacia è direttamente proporzionale alla qualità dei contenuti proposti, che è importante sia tarata sul proprio target, in un continuo aggiornamento delle proposte e dell’informazione. Insomma, un blog aziendale deve essere vivo, interessante e creare valore per i suoi lettori, riuscendo così a comunicare l’expertise del proprio brand.

Per tutte le aziende che ancora non hanno intrapreso questa strada o che ancora non riescono a curare il blog come vorrebbero, vogliamo ricordare nel dettaglio il perché un’azienda B2B debba avere un blog aziendale e dimostrarvi quanto possa essere un investimento proficuo.

Il blog migliora il posizionamento del sito aziendale su Google

Ogni articolo pubblicato, con le sue keyword, favorisce l’indicizzazione su Google e sugli altri motori di ricerca: con l’aumentare delle pubblicazioni migliora la densità di parole chiave e, di conseguenza, il suo posizionamento.

Insomma, per un’azienda con un blog B2B ben strutturato e aggiornato diventa più facile farsi trovare da potenziali clienti in target, soprattutto se i contenuti sono stati targettizzati per parole chiave.

Il blog aumenta la brand authority e fidelizza il cliente

Prima di affidarsi a un marchio le aziende cercano informazioni online: questo è il primo motivo per il quale è importante curare la propria autorevolezza di brand. Per differenziarsi dalla concorrenza, ma anche per dimostrare a tutti il proprio know-how. Ecco che a questo scopo un blog diventa un contenitore iper funzionale: dimostra l’expertise aziendale in un approccio editoriale alla costruzione e al rafforzamento del brand. Come? Attraverso pubblicazioni utili, caratterizzate da un ottimo grado di serietà e approfondimento che sappiano fidelizzare il cliente.

Il blog incrementa il traffico al sito aziendale

Ogni volta che si pubblica, la nuova pagina di blog diventa di fatto una nuova potenziale occasione per far sì che il vostro target atterri sul vostro sito. Non c’è altra sezione del sito ad avere un potenziale come quello del blog, che indicizza un nuovo URL per ogni articolo pubblicato. E non è finita: qui non si parla solo di un aumento quantitativo del traffico verso il sito, ma anche qualitativo. Le persone che leggono un articolo stanno dimostrando di essere interessate ai servizi dell’azienda e quindi sono in una fase già calda del funnel verso il loro engagement.

Il blog contribuisce a potenziare l’efficacia dei profili social aziendali

La ricondivisione degli articoli di blog sui social offre all’azienda un’occasione non solo per arrivare a un maggior numero di buyer (e di aziende), ma anche per mostrarsi a potenziali clienti che non sanno ancora di aver bisogno di voi. Inoltre, la condivisione sui social contribuisce ad amplificare i propri contenuti, rendendo un’azienda stimolante e interessante agli occhi dell’utente, oltre che umana.

Esattamente: l’utilizzo degli articoli blog sui social consente – attraverso un copy mirato – di mostrare anche quel lato più umano ed emozionale del proprio brand, perché ciascun prodotto o servizio è fatto, in fin dei conti, da persone. Un’aspetto che conviene considerare: le tendenze Loyalty 2024 evidenziano come, in uno scenario sempre più abitato dall’intelligenza artificiale, a fare la differenza saranno le competenze umane e la capacità dell’uomo di emozionare ed emozionarsi.

Un tip che diamo ai nostri clienti in questo frangente è di condividere l’articolo sui profili social – soprattutto su LinkedIn – dei responsabili e manager dell’azienda: una condivisione con l’aggiunta di una introduzione ben scritta può favorire commenti e condivisioni.

Conoscete tutte le best practice per il social media managing B2B? Le approfondiamo qui.

Per qualasiasi altra richiesta o necessità, contattateci!

Chiusure estive: l’ABC per comunicarle ai vostri clienti

Come e cosa comunicare se l’azienda è chiusa per un mese estivo?
Alcune aziende, com’è sempre stata tradizione per il mondo B2B italiano, chiuderanno l’attività per una o due settimane, altre invece – più affini alle ultime tendenze – faranno solo un ponte per ferragosto o addirittura opteranno per non sospendere la propria operatività.

Le scelte sono tutte lecite, ciò che però è fondamentale? Comunicarlo anticipatamente ai clienti, in modo che possano gestire ordini e forniture considerando anche le possibili chiusure estive. Questo non solo assicura un workflow più linerare, anche nel momento della riapertura, ma evita alla propria azienda malintesi e fraintendimenti che potrebbero lesionarne l’immagine.

Chiuso per ferie: come comunicarlo a clienti, propri e potenziali

Quando si parla di quei clienti che abitualmente si avvalgono dei servizi dell’azienda, non è certo difficile trovare il modo più idoneo per comunicare le proprie chiusure estive. La vostra azienda conosce i propri clienti e può scegliere le modalità più efficaci e funzionali per questa comunicazione. L’importante è che venga letta. Cosa fare invece per tutti i potenziali clienti che potrebbero ricercare i tuoi servizi proprio nel momento di chiusura? Ve lo sveliamo tra poco.

Newsletter

Un metodo tra i più classici: inviare una newsletter informativa che segnali i giorni di chiusura o di riduzione d’orario. È bene evitare di inserire questa informazione tra altre info logistiche o approfondimenti circa il proprio settore: quella della chiusura è un’informazione importante e, come abbiamo già detto, deve essere letta dal cliente. Meglio una mail dedicata.

Messaggistica real time

Ogni azienda riceve giornalmente una quantità di mail per la quale può accadere di perdersene qualcuna: se i report delle newsletter inviate ci dicono che il nostro cliente non ha aperto il messaggio è bene ricorrere alla messaggistica real time. Preparate un messaggio da inoltrare a tutti i vostri contatti tramite Whatsapp, Telegram, ma anche tramite le chat dei Social. Le probabilità che la vostra informazione arrivi a destinazione aumenteranno in maniera significativa.

Avvisi su sito e social

Un’ottima pratica sia per i clienti che già si avvalgono dei vostri servizi che per quelli che potrebbero cercarvi proprio nel momento in cui avete deciso di staccare la spina: tutte le vostre vetrine online devono comunicare le date di chiusura per ferie. È bene dunque indicare le chiusure estive sul proprio sito, sul profilo Google e con post mirati sulle piattaforme social che si utilizzano (LinkedIn, Facebook, Instagram per esempio).

Autoresponder e segreteria telefonica

Sia per le mail che per la messaggistica real time conviene impostare dei messaggi di risposta automatica in cui ringraziamo per averci contattato, ricordiamo le date di chiusura e specifichiamo che il cliente sarà ricontattato al più presto. Lo stesso facciamo registrando un messaggio sulla segreteria telefonica che informerà delle ferie chiunque contatti l’azienda.
Molto professionale sarebbe comunque lasciare attivi un numero o una mail per le urgenze.

Aperti anche nella settimana di ferragosto? Va specificato.

È vero ormai che da qualche anno la tendenza è quella di chiudere il meno possibile, anche ad agosto, ma i clienti sono ancora figli di una lunga tradizione che voleva le aziende in ferie per quasi tutto il mese. Per questo se un’azienda non dovesse sospendere le proprie attività è bene lo comunichi, perché un cliente non dia per scontato il contrario. Inoltre, è sempre una buona occasione per rimanere in contatto con gli acquirenti e dimostrare la propria professionalità, anche nelle comunicazioni.

E a ferie finite…

Si torna a lavoro: la prima cosa da fare è proprio disattivare tutte quelle comunicazioni che dicevano non ci sareste stati. Fermate l’autoresponder ed eliminate il messaggio in segreteria; reimpostate i normali giorni e orari di attività sul sito e sul profilo Google; fai capire anche sui social che siete tornati operativi. Sembra un’attenzione banale, ma i vostri clienti apprezzeranno.

Nel frattempo, avete bisogno di qualche buona lettura da ombrellone per il vostro marketing aziendale? Qui abbiamo qualche consiglio, ma contattateci pure per qualsiasi richiesta.

Le buzzword di cui non abbiamo bisogno (nel marketing)

Le buzzword sono termini o espressioni che diventano di moda in un periodo brevissimo: ieri non esistevano nemmeno e oggi pervadono le discussioni su internet e tra gli addetti ai lavori.

Soprattutto nel marketing: pochi campi sono suscettibili ai trend del momento come il nostro. E tra di noi si muovo alcune buzzword che fanno sembrare “cool” e “sul pezzo” molti marketer ma che forse forse non meritano tutta questa attenzione. Anzi.

Disruptive Marketing

Quando parliamo di Disruptive marketing ci riferiamo a strategie che rompono gli schemi tradizionali, introducendo nuovi modi di pensare e agire che possono trasformare interi settori. In teoria.
Diciamo in teoria perché là fuori c’è chi vede il disruptive marketing ovunque (mettiamo qui a lato un meme esplicativo di questa tendenza).

Tanto che fioccano i marketer che usano questo termine per descrivere qualsiasi novità, anche marginale, nel tentativo di catturare l’attenzione del cliente o dell’utente sensibile alle nuove “strategie” con un post provacatorio e che promette faville sul vostro social di preferenza (ma spesso li vediamo su Facebook e, purtroppo, anche su LinkedIn).

Ma considerando che di Steve Jobs ne nasce uno ogni 20 anni, che non nascono sotto gli alberi nemmeno geni del marketing in grado di rivoluzionare il mercato con campagne di disruptive marketing ovviamente ne abbiamo, ma chi vi parla dicendo che metterà in piedi una strategia “disruptive” per voi…spesso non ha né il budget né le capacita per farlo davvero.

Se cercate nei vostri ricordi di clienti italiani, non a caso vi verrà in mente solo UN esempio forte (sì, sono loro, quelli di Taffo) mentre, se siete dei professionisti del marketing avrete in mente anche altri esempi, ma tutti da brand esteri: il “don’t buy this jacket” di Patagonia, oppure la pubblicità di Netflix per Sanremo 2024 (“Lo sappiamo, questa settimana guarderete altro.  / Ci vediamo la prossima.”)

Growth Hacking

Growth hacking stava a significare una strategia di marketing che utilizza di tattiche creative e cost-effective per aumentare rapidamente la base utente e le entrate di un’azienda, spesso con budget limitati. Forse avrete già capito dove stava il problema.

In poche parole e come potrebbe dire chiunque lavori nel marketing digitale da più di 6 mesi: cosa c’è di nuovo? Ovvero: anche prima che qualcuno coniasse questo termine (a fine anni ’10 del 2000), chi non faceva tattiche di marketing (più o meno lampo) per aumentare rapidamente le vendite?
I growth hacker che non cedono mai diranno che il GH è una cosa diversa, che si tratta di elaborare delle “blietz-krieg” di advertising in grado di dire in uno-due-tre mesi se un prodotto è scalabile.

Sia come sia, in quasi 10 anni di vita il significato è diluito e il growth hacking è solo un’altra buzzword abusata soprattutto perché molti cosiddetti esperti vantano tassi di crescita straordinari (il 950% in due giorni), attribuiti a “growth hacks”, ma quello che tendono a nascondere è che i loro “dati” non sono calcolati su periodi statisticamente rilevati oppure sono elaborati facendo del cherry-piking (sì: sono andati a prendere quelle due settimane in cui tutto è girato per il verso giusto).

Principio di Pareto

Il Principio di Pareto, noto anche come la regola dell’80/20, è un concetto ampiamente riconosciuto nel mondo del marketing. Sarà apparso anche a voi un post da qualche parte per illustrarvi come potete stare comodi comodi mentre quel 20% di lavoro vi aiuterà a tirare su l’80% del profitto, no?

Il principio generalmente suggerisce che l’80% degli effetti deriva dal 20% delle cause. La sua applicazione indiscriminata ne ha fatto invece una buzzword citata per giustificare la concentrazione delle risorse sul 20% dei clienti che generano l’80% dei profitti (le variante di questa formuletta sono infinite: divertiti a inserire “Principio di Pareto” nella barra di ricerca di Facebook per vederne le mutazioni).

Senza andare troppo per il sottile, si può facilmente comprendere come l’assunzione che la regola dell’80/20 sia universale significhi ignorare la complessità e la dinamicità dei mercati (di qualsiasi mercato) dove le proporzioni possono variare significativamente.

Quello che vediamo fare da nostri colleghi e sedicenti divulgatori economici è purtroppo usare questa formuletta come testa da ariete per sfondare l’interesse di utenti poco educati all’economia. A chi non fa piacere pensare che “l’80% del fatturato arriva dal 20% dei tuoi clienti” (quindi: liberati degli altri clienti!); o che “con il 20% del lavoro si può ottenere l’80% dei risultati” (quindi: mettiti comodo…); o ancora che “nel marketing il 20% delle tue attività produce l’80% dei tuoi risultati” (insomma: basta azzeccare la tattica giusta, servono giusto un paio di ads su cui buttare soldi e il gioco è fatto!).

La realtà, purtroppo, è sempre più complessa di così.
Per questo crediamo che si debba partire da strategie vere nel marketing.

LinkedIn Pharma B2B: strategie vincenti ed errori da evitare

Molte aziende di pharma B2B non sentono l’importanza di promuovere il proprio marchio via social? Eppure il social media marketing è un canale eccellente per il marketing B2B: basti pensare che nel 2023 il 25,1% degli utenti social italiani (imprese comprese) ha conosciuto un nuovo brand proprio su una piattaforma social, o che il 60% degli acquirenti controlla proprio sui social un marchio sconosciuto prima di effettuare l’acquisto.

È ovvio, il modo di comunicare e la finalità è bene cambino di piattaforma in piattaforma e la scelta dei social più indicati per il settore sta alla base una buona strategia di marketing B2B, ma se le cose si fanno con professionalità e puntando sempre all’interesse dei possibili utenti i social rispondono, eccome.

Pharma B2B: quali piattaforme per il proprio marketing

Man mano che i mercati crescono, le aziende si ritrovano – che lo vogliano o meno – a diventare parte di reti sempre più ampie ed entrare di fatto in concorrenza con tutte le altre aziende del settore: essere sui social – come abbiamo già indicato in questo articolo sul marketing B2B – significa esistere, giocare a pieno la propria partita.

Per il settore farmaceutico i “campi da gioco” privilegiati sono soprattutto le piattaforme ricche di flussi informativi, come LinkedIn, Facebook e X.
Se quest’ultimo è uno strumento che consigliamo di valutare solo alle grandi aziende B2B, per condividere news ed interagire con i propri follower, Facebook e LinkedIn sono perfetti anche per le piccole e medie aziende che vogliono fare rete con i professionisti, unirsi a gruppi del settore e condividere i propri articoli.

Il re social per il marketing B2B nel settore farmaceutico: LinkedIn

In Italia la preferenza per LinkedIn per chi lavora nel Pharma B2B esiste ed è in forte sviluppo, ma all’estero è davvero un primato. Non sorprende a dire il vero: LinkedIn registra più di 67 milioni di imprese iscritte e ospita più della metà della forza lavoro italiana.

Di fatto sta rappresentando un canale rapido e sicuro per le aziende che vogliono collegarsi con medici e prescrittori per incentivare l’utilizzo dei propri prodotti ed è riconosciuta come la migliore piattaforma per il marketing B2B.

Detto questo, un’azienda non può improvvisare: ha bisogno di strategie e piani d’azioni in grado di garantire maggiore sicurezza negli investimenti (le sponsorizzate su LinkedIn sono le più care in assoluto: conviene puntare dritti al bersaglio).

LinkedIn per il settore Pharma: i tre errori più grandi

Prevenire è meglio che curare, un semplice detto popolare che dovrebbe però essere un mantra per un’azienda che vuole investire. Ecco dunque i tre errori più significativi nei quali un’azienda B2B può inciampare su LinkedIn.

  • Curare solo il profilo aziendale e non quello personale. Su una piattaforma di fatto professionale la credibilità va costruita anche attraverso il profilo personale dei responsabili di vendita e di coloro che poi si interfacceranno con i potenziali clienti. È importante che un profilo personale non si limiti a elencare le esperienze, ma riesca a dimostrare la propria professionalità, a tutto tondo.
  • Non condividere articoli e materiale informativo. Condividere contenuti dettagliati, anche lunghi e scientifici è un ottimo modo per condividere valore con i tuoi follower, mostrando le proprie conoscenze e competenze. Così come i post, i tuoi articoli su Linkedin potranno ricevere reaction e commenti e piaceranno a Google, che reputa LinkedIn un social affidabile: saranno facilmente indicizzati sul motore di ricerca.
  • Non avere una strategia. Un insieme di buone pratiche non può funzionare se slegato da una pianificazione attorno a un obiettivo preciso e misurabile: i risultati non si ottengono sul breve termine e c’è bisogno di progettazione, di studio e valutazione mensile del coinvolgimento del proprio target, per generare lead sempre più qualificati.

I due assi nella manica per una Signora strategia su LinkedIn per il settore Pharma B2B.

Ebbene si, non abbiamo ancora svelato tutto. Ci sono due feature di LinkedIn che rendono questa piattaforma ancora più appetibile per le aziende che vogliono farsi notare nel mare magnum del settore farmaceutico. Si tratta di strumenti eccezionali e potenti che vanno utilizzati, però, con grande attenzione e professionalità, altrimenti rischiano di ritorcersi contro, causando danni all’azienda.

Il comment marketing

Con questa strategia un’azienda lascia commenti significativi su post e articoli per costruire relazioni con le altre aziende, per generare traffico verso il proprio profilo e aumentare audience e brand awareness. Fondamentali per questa tecnica sono la costanza e la scelta accurata dei profili su cui lasciare il proprio commento: i profili scelti non devono solo avere un buon numero di follower e un buon traffico, ma devono anche pertinenti al settore Pharma. I commenti poi fanno l’80% del lavoro: non devono essere dei meri copia e incolla e non devono contenere elementi di giudizio, ma piuttosto devono contribuire a fornire punti di vista, condividere approfondimenti e stimolare la conversazione. Attenzione anche ai commenti spam, che di certo non contribuiscono a promuovere un brand ma rischiano invece di rovinare la propria reputazione online.

I gruppi LinkedIn

Cercare i gruppi più interessanti per la vostra azienda e il vostro target Pharma è un’occasione unica per divenire parte di una comunità di professionisti del settore attiva ed arricchente. E non solo: con un’adeguata ricerca attraverso keyword all’interno del gruppo stesso rivelerà gli utenti più in target, verso i quali focalizzare la propria attenzione con commenti e condivisioni mirate. Attenzione quindi ai contenuti: è bene evitare attività promozionali troppo spinte, che andrebbero non solo a ledere la propria immagine aziendale, ma anche la propria partecipazione al gruppo (i regolamenti di queste community spesso non contemplano l’attività di vendita).

Un esempio di un buon gruppo LinkedIn per il settore Pharma B2B? The Pharmaceutical Marketing Group è il più grande gruppo di comunità farmaceutiche su LinkedIn, con 226.007 membri e mira a un networking di alto valore per il settore Pharma.

Avete bisogno del supporto di professionisti B2B per il vostro marketing?
Contattateci.

3 buone pratiche di social media marketing B2B

Inutile nascondersi dietro a un dito: oggi per un’azienda essere sui social significa esistere.

Non è un caso infatti che i social siano balzati al quinto posto come luogo di scoperta di nuovi brand, prodotti o servizi: prima di loro ci sono solo i motori di ricerca, la pubblicità televisiva e il passaparola di parenti e amici.
Nel 2023 il 25,1% degli utenti social italiani ha conosciuto un nuovo brand proprio su una piattaforma social: un dato chiaro che evidenzia l’importanza di questi canali per tutte quelle aziende che desiderano farsi conoscere.

Se questo vale per le aziende B2C, per le aziende B2B è ancora più vincolante, perché per queste ultime essere sui social non basta. L’assenza dalle piattaforme fa infatti perdere all’azienda B2B tanta credibilità quanto una scarsa cura delle pagine social aperte: un’azienda B2B non deve solo esserci, ma deve fare le cose come si deve, con amore e professionalità.

Ecco dunque una piccola guida con le 3 best practice di social media marketing B2B per le aziende che sui social vogliono raccontare i propri valori, desiderano creare relazione con il proprio target e rafforzare il brand sul mercato, ma non sanno da dove partire o non ci sono ancora riuscite.

Un consiglio a chi è già sulla buona strada: rispolverare le basi non guasta e aiuta a guardare al da farsi con più consapevolezza.

Vediamo dunque quali sono le best practice che possono aiutare la vostra strategia di social media marketing B2B.

1. Seguite la concorrenza e differenziatevi

Partire dalle mosse dei competitor per distinguersi è davvero un’ottima pratica.
Che siano competitor diretti o indiretti è necessario scovarne i punti di forza e di debolezza per poi trasformare questa conoscenza in strategia.

«Le loro pagine social comunicano un’identità coerente?», «Come risponde il pubblico ai loro contenuti?», «Quali tipologie di contenuti performano meglio?»: queste sono solo alcune delle domande a cui rispondere in fase iniziale, per poi dare vita al proprio brand sui social. Come? Trovando altre risposte: «Cosa ho da dire di nuovo nel mio ambito?», «Quali sentimenti voglio suscitare?», «Come posso essere rilevante nella vita di un’altra azienda?», «Quali piattaforme sono più adatte a trasmettere il mio messaggio?».

Un’azienda B2B che può distinguersi è un’azienda che ha capito chi è, e conosce molto bene i propri obiettivi.

2. Siate professionali, anche sui social

È vero, nella vita quotidiana capita di aprire alcuni social in particolare (Instagram, TikTok, Pinterest, Facebook e YouTube) per passatempo, per staccare un attimo dalla routine.
Eppure un’azienda sui social dovrebbe sempre essere professionale:

Insomma, un’azienda che vuole far funzionare i propri social non può gestirli nei ritagli di tempo o affidarli in toto a uno stagista. Anzi, dovrebbe investirci, affidandosi – soprattutto all’inizio – a dei professionisti in grado di costruire la strada da percorrere in futuro.
In questo caso ricordate: perché la collaborazione funzioni c’è bisogno – per l’appunto – di collaborazione.

3. Misurate il risultato di ogni tua azione

Come avrete compreso, non esiste una formula magica che funzioni per tutti: per ogni azienda è un’avventura a sé, che verrà influenzata dal settore, dal target, dalla qualità dei contenuti, dalla tipologia di piattaforma.

Creare contenuti accattivanti, sponsorizzarli e interagire quanto più possibile con gli utenti non è sufficiente, per comprendere la riuscita o meno di una strategia è necessario fare il punto su like, commenti, condivisioni e KPI (Key Performance Indicator). Questi ultimi sono moltissimi e possono essere settati in base all’obiettivo a cui si mira: sono strumenti davvero sofisticati per la raccolta e la restituzione dei dati, ma anche per orientare le scelte e il lavoro da fare in modo informato, data-based.

Un’agenzia di marketing e comunicazione come V|Strategy affronta ogni giorno la sfida di rendere attrattiva e coerente la comunicazione social delle aziende B2B.
Lo facciamo sapendo che le potenzialità sono tantissime (e spesso non utilizzate al 100% nel business-to-business), soprattutto nella realtà molto competitiva degli ultimi anni. E un dato di fatto che possiamo svelarvi è che la qualità vende: è di fatto il modo più sicuro per aumentare la brand awareness, posizionarsi sul mercato e rimanere competitivi.

Volete iniziare o migliorare l’avventura social delle vostre aziende? Contattateci, lo faremo assieme.

Che Tone of Voice ha il vostro brand?

Oramai anche chi fa shopping di manuali di marketing all’autogrill lo sa: il tone of voice – alias ToV – è uno degli elementi essenziali da definite (per definirsi) quando si comunica.

Che siate un’azienda business-to-business o business-to-consumer, definire il tone of voice è uno dei primissimi step per architettare una strategia di comunicazione coi fiocchi e distinguervi dalla concorrenza.

Ma perché definire l’esatto tone of voice è necessario a posizionare la vostra azienda nella mente dei vostri clienti o personas ideali?

Nel rispondere alla domanda, vi forniremo anche qualche esempio utile a comprendere caratteristiche e differenze tra un tono di voce B2C e uno B2B.

Tov: perché scegliere quello giusto è fondamentale?

Proviamo a dare una definizione chiara e concisa di tone of voice:

È il tono con cui volete che la vostra azienda parli al suo pubblico e che contribuisce a donare carattere, personalità e umanità al vostro brand.

Il tono di voce ha a che fare dunque non con le parole, ma con il modo di comunicare, ossia lo stile comunicativo.

Ma perché è così importante che venga definito a priori all’interno della vostra strategia di marketing? Perché è proprio in base al vostro specifico tono di voce che verrà strutturata la copy strategy e, in toto, quella che sarà la vostra comunicazione aziendale online e offline.

Per questo motivo, il tov deve essere in perfetta armonia con la vostra brand identity.

Essenzialità ed efficacia comunicativa si manifestano in relazione alla coerenza.
È chiaro che un brand con un tone of voice chiaro ed efficace è un brand che comunica con una sola voce, coerente e riconoscibile, indipendentemente dalle piattaforme utilizzate.

Tov: quale scegliere?

Valentina Falcinelli in Testi che parlano sintetizza i diversi tipi di voce aziendale raggruppandoli all’interno di quattro categorie, che sono

  • Freddi: fanno parte di questa categoria i toni di voce formali e/o istituzionali.
  • Neutri: si tratta dei toni più adottati all’interno dei contesti business in quanto permettono alle aziende di rimanere su un piano strettamente professionale.
  • Caldi: ovvero i toni generalmente informali, colloquiali e amichevoli. Sono spessissimo impiegati all’interno dei contesti B2C, ma possono essere impiegati anche da aziende B2B.
  • Colorati: un esempio sono i toni ironici e/o aggressivi.

Tov: B2C VS B2B

Fin qui tutto chiaro.

Definire il proprio tono di voce è cruciale per conferire a brand e aziende quella dimensione umana necessaria ai suoi interlocutori per immedesimarsi e relazionarsi con essi.
Ma in cosa si distingue un tono business-to-business da uno business-to-consumer?

Al di là di obiettivi, settore, target o personas, un tono di voce puramente B2C è riconoscibile perché:

  • Informale: le aziende che comunicano al consumatore finale, lo fanno in genere adottando un tono di voce semplice e vicino al linguaggio quotidiano per creare vicinanza con il pubblico.
  • Empatico: un tono aperto e disponibile fa sì che la propria audience di riferimento si immedesimi più facilmente nel brand generando engagement.
  • Emozionale: per fare breccia, un tono B2C non può prescindere dal far leva sulle emozioni; queste consentono infatti di creare e mantenere una connessione con il target, che si riconosce nella narrazione e negli stati d’animo creati dal brand.

Un esempio di tone of voice fuori dagli schemi

Se volessimo fare un esempio di brand che non le manda proprio a dire, emblematico è il caso di Taffo Funeral Service.


Feed Instagram di Taffo Funeral Service

Ironico e decisamente eccentrico: con il suo tono di voce pungente e senza peli sulla lingua, Taffo è riuscito a conquistarsi letteralmente il pubblico (e con non poche critiche!).
Come? Giocando su un tema tabù come quello della morte.

Adottare infatti un tono di voce ironico potrebbe non essere la scelta più ovvia per un brand che si occupa di servizi funerari. Fatto sta che lo stile comunicativo di Taffo, unico e riconoscibile, ha saputo rompere gli schemi attuali in modo decisamente inaspettato e dirompente, catturando l’attenzione del pubblico e differenziandosi dalla concorrenza.

Tov B2B: Venostes, un caso diverso da tanti

Se nel contesto consumer, i principali tone of voice sono quelli caldi e informali, lato business la scelta sembra invece ricadere quasi esclusivamente su toni freddi o neutri – perlopiù professionali – quasi come se fosse l’unica opzione valida e applicabile in contesti business-to-business.

Il che sembra abbastanza ovvio se pensiamo che – specie quando si tratta di imprese che vendono prodotti e servizi ad altre imprese – la prima immagine che tutti noi abbiamo è quella di un’azienda che comunica in modo estremamente attento, serio e professionale, senza fare il benché minimo accenno a un qualche briciolo di emozione.

La verità è che anche le aziende B2B possono adottare un tono diverso da quello puramente formale o neutro (ovviamente ciò dipende sempre dall’essenza o identità aziendale!).
Come nel caso di Venostes, un’azienda venostana che rifornisce grossisti, punti vendita, bar, hotel e gelaterie con le sue forniture esclusive di gelati e sorbetti prodotti nel cuore dell’Alto Adige.

Un tono professionale ma gentile

Nonostante si tratti di un’azienda B2B, il suo tono di voce è informale e caldo: il suo stile comunicativo esprime e enfatizza desiderabilità, autorevolezza, innovazione e territorialità, riflettendo appieno i valori alla base del brand.

Lo stile piuttosto accogliente emerge soprattutto attraverso i colori utilizzati: colori accesi, ma al tempo stesso delicati e raffinati che, assieme alla palette colore scelta per la visual identity del brand, consentono di rimanere nel campo semantico dell’autorevolezza e della professionalità tipico del settore B2B.

In questo caso specifico, il tone of voice è perfettamente coerente e in linea con l’identità di Venostes: un’azienda dall’anima genuina che non solo produce i suoi gelati utilizzando sole materie prime fresche e selezionate, ma rispetta e supporta il suo territorio lungo tutta la filiera produttiva.

Le sue qualità, unite alla continua ricerca nella sperimentazione e ideazione di nuove ricette uniche e ricercate, permettono a Venostes di distinguersi nel tempo sino a divenire simbolo di eccellenza nella produzione di gelato.

Non esiste un tono di voce migliore di altri così come non esiste un solo tono di voce più o meno adatto a rappresentare la vostra essenza di brand.
Esistono invece molteplici sfaccettature, esiste uno studio approfondito e una coerenza comunicativa che deve essere rispettata affinché la vostra comunicazione non risulti banale, caotica e dispersiva.

Siete ancora alla ricerca del tone of voice ideale e su misura per la vostra azienda? Contattateci!
Saremo più che felici di aiutarvi a trovare quello che più si adatta alla vostra identità aziendale.

Pinterest e B2B: non l’avete ancora considerato?

Nel definire una strategia di marketing aziendale B2B la soluzione “LinkedIn” è quella che pare ovvia al 90% delle aziende. Bene, corretto. Ma perché sottovalutare Pinterest?

Di fatto la piattaforma fondata nel 2010 da Evan Sharp, Ben Silbermann e Paul Sciarra continua a confermarsi uno strumento straordinario sia per attrarre potenziali clienti che per incrementare le vendite. Come?
Andiamo a scoprirlo assieme.

Pinterest: molto più che un social

Il social network che non è un social network.

Ciò che è Pinterest ce lo dice Pinterest stesso: «è un motore di ricerca visiva per trovare idee». E non solo, perché è anche la collezione di immagini più fertile della rete. Pinterest offre ispirazioni visive in qualsiasi ambito e si attribuisce proprio alla sua tendenza puramente “ispirazionale” il fatto che le persone vadano su Pinterest per se stesse, più che apparire, per vivere meglio nel mondo reale, più che rifugiarsi in quello virtuale, come già nel 2015 dichiarava l’Head of Brand David Rubin.

E altra buona notizia: il bacino che un’azienda può trovare su Pinterest è già caldo, e visita la piattaforma con l’intenzione di acquistare. Si tratta di super acquirenti, pronti a spendere il doppio rispetto a chi compra su altre piattaforme social.

Pinterest e B2B

Come già accennato Pinterest si rivolge a un mercato che all’80% è a domanda diretta: tra i suoi acquirenti ci sono anche aziende di ogni tipo, alla ricerca del prodotto e del servizio giusto.

Per un’azienda che vuole farsi trovare, i vantaggi offerti da questa piattaforma lato azienda sono importanti:

  • Collegamenti incorporabili in ogni Pin: ogni post Pinterest (chiamato Pin, per l’appunto) può contenere un link. Un fattore non da poco, in grado di generare  un traffico verso siti ed e-commerce maggiore del 33% rispetto a Facebook.
  • La durata dei Pin è a lungo termine e può arrivare fino a 4 mesi: un dato importante se si considera che un post LinkedIn ha una vita media di 24 ore.
  • Il numero di follower non conta molto e non contribuisce alla visibilità dei tuoi contenuti: la tua azienda potrà ottenere buoni risultati fin da subito.
  • L’advertising di Pinterest è più economico e più efficace: il 55% degli utenti utilizza la piattaforma alla ricerca di prodotti specifici e, di conseguenza, le sue campagne performano il quadruplo di quelle sugli agli canali social.

Farsi trovare su Pinterest: un profilo ottimizzato

Pinterest e B2B sembrano dunque un’accoppiata vincente, ma potete aumentare ulteriormente le probabilità di successo per la vostra azienda ottimizzando il vostro profilo. Perché? Perché ciò che conta su Pinterest – come abbiamo già detto – è farsi trovare. Per riuscirci è fondamentale che la vostra azienda imposti le giuste keywords, in un’ottica fortemente SEO: l’obiettivo deve essere quello di far sì che l’algoritmo di Pinterest capisca nel dettaglio chi siete e di cosa vi occupate, perché possa poi mostrarvi alle aziende più pertinenti.

Per questo il nostro consiglio è quello di creare un documento che riassuma le 20 keywords più pertinenti per il vostro business in questo momento.
Infine: non scordare di inserire una o due keywords nel nome del tuo business e nelle informazioni e partecipa al Programma commerciante verificato. Il tuo profilo così performerà meglio!

Pinterest è per tutte le aziende B2B?

Tra i vari stereotipi attorno al connubio di Pinterest e B2B c’è l’idea che sia una piattaforma per aziende del settore artsy, moda o design. Ma questo è, per l’appunto solo uno stereotipo, perché su Pinterest si cerca davvero di tutto. A tutte le aziende B2B converrebbe stare su questa piattaforma, soprattutto perché il 96% delle ricerche più popolari non include riferimenti a brand: gli utenti cercano solitamente il prodotto, il servizio.

Ciò che è importante per farsi notare e conoscere?
Avere delle immagini originali, di ottima qualità e risoluzione, in formato verticale. Pinterest dichiara infatti che l’80% degli utenti settimanali hanno scoperto un nuovo brand o un nuovo prodotto proprio grazie a un’immagine sulla piattaforma.

Pinterest e B2B: un investimento sicuro

Nel terzo trimestre del 2023 la piattaforma ha registrato un +15% nell’aumento dei ricavi e dei profitti: un risultato dovuto all’incremento degli utenti e della loro fidelizzazione, ma anche alla capacità di Pinterest di monetizzare il tempo speso sulla piattaforma.

Tra le decisioni vincenti del 2023, infatti, c’è anche il potenziamento dello spazio pubblicitario sull’app, che ha portato una crescita nelle impression degli annunci del 26% rispetto allo scorso anno. Di conseguenza il prezzo delle inserzioni è calato del 12%, portando il livello di monetizzazione a crescere significativamente.

Un quadro decisamente ghiotto (e confortante!) per un’azienda che vuole puntare al B2B.

Come avrete capito, Pinterest rappresenta un’ottima opportunità per le aziende che vogliono puntare sul B2B. Ora non vi resta che preparare il vostro documento keywords, una raccolta delle migliori immagini della vostra azienda e dei vostri prodotti (in formato rigorosamente verticale!) e inaugurare l’avventura.

Non preoccupatevi, rimaniamo a vostra disposizione per qualsiasi info e necessità.
Contattateci!

Perché fare storytelling nel 2024

Esperimenti psico-narrativi, attrici greche, un rinoceronte magico (?), giganti della pubblicità e piccole aziende che sbaragliano la concorrenza con budget ridotti: come e perché si può fare storytelling adesso. Senza essere noiosi.

Ti capita mai di fare fatica a ricordare fatti insignificanti? Fatti così piccoli e irrilevanti per il corso naturale della tua vita che ti chiedi come hai fatto a impararli la prima volta? Eppure la tua incapacità di ricordarli ti fa infuriare. Chi era l’attore di quel film greco, sai quello con Melina Mercouri, degli anni Sessanta? Come si chiama il bastone che portano i folletti? E la ragazza di tuo cugino? […]

Le risposte a tutte queste domande e ad altre ancora troveranno risposta quando entrerai in orgoglioso possesso di Rhinoceros Knows. Ogni volta che ti senti perplesso, strofina semplicemente il suo naso (noto anche come “corno”). Sentirai una scossa di energia nei tuoi neuroni, le tue sinapsi diventeranno più appiccicose, il tuo lobo frontale pulserà piacevolmente e gli occhi del rinoceronte luccicheranno, in modo così sottile.

E poi, tra non più di cinque minuti, arriveranno le risposte: Fedra non è un film greco, ma un film americano ambientato in Grecia; l’attore è Tony Perkins. Shillelagh. Candace. […]

L’oggetto in questione è questa banalissima statuetta a forma di rinoceronte: uno delle cento carabattole protagoniste di Significant Object, un esperimento che è ancora oggi una pietra miliare nel campo dello storytelling, promosso da Rob Walker e Joshua Glenn nel luglio 2009. I due giornalisti americani affidarono a cento scrittori cento oggetti apparentemente insignificanti con una sola richiesta: scriverci un racconto. Ed ecco che, grazie alle storie poi inserite nella didascalia di Ebay, ciascun oggetto riuscì a raggiungere un valore almeno 37 volte superiore a quello di partenza. Con la sua storia (di cui avete letto solo l’attacco!) il rinoceronte passò addirittura da $1 a $57.

Ecco dimostrata l’esistenza di un capitale narrativo in grado di moltiplicare il valore di partenza di un oggetto, di un servizio, di un brand di ben 37 volte: lo storytelling.

Che cos’é lo storytelling

Il Cambridge Dictionary lo definisce generalmente come «l’attività di scrivere, raccontare o leggere storie». Più precisamente nel marketing è definito come quell’arte «interattiva che utilizza parole e azioni per rivelare gli elementi e le immagini di una storia, incoraggiando al tempo stesso l’immaginazione dell’ascoltatore», come evidenzia il National Storytelling Network.

Salta subito all’occhio uno degli obiettivi principali dello storytelling, ovvero l’interazione con chi ascolta, con il proprio pubblico: un traguardo fondamentale per ogni azienda, che attraverso lo storytelling può raggiungere altri goal, altrettanto importanti. Scopriamoli assieme.

A cosa serve nel 2024 lo storytelling

Lo storytelling è tutt’ora una delle tecniche più funzionali nel marketing e le aziende vi ricorrono giornalmente. Se ti stai domandando perché, abbiamo individuato qui le tre motivazioni più importanti.

1. Crea relazione con i propri clienti

Raccontarsi significa relazionarsi con il proprio gruppo di riferimento, con il proprio target. Le storie che funzionano hanno come protagonista più il cliente che la propria azienda e riescono a toccare la vita di chi le legge. Come? Beh, semplicemente aiutando le persone a sorridere, a immedesimarsi o a compiere qualche azione in particolare. Grandi esempi in questo senso ci arrivano dai video sulle norme di sicurezza aerea: l’ultimo è quello di Ita Airways che alla classica narrazione fredda e impersonale delle hostess sovrappone un video divertente, puntando tutto su uno dei più grandi deboli dei suoi italiani: lo sport!

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2. Genera identità

Una storia dà forma a un qualcosa che deve essere riconosciuto come vero sia da chi lo scrive che da chi lo fruisce. Una storia genuina mostra le cose senza dirle e genera senso identitario, sia all’interno dell’azienda che all’esterno, tra il suo target. In questo senso esemplari sono gli spot di Ikea. Ne conoscerai già diversi, ma che ne dici di guardare uno degli ultimi usciti? Parole d’ordine: inclusività, personalizzazione, empatia.

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3. Aiuta a posizionarsi

Come ci dimostra Significant Object con la narrazione si guadagna. Ma non solo, la giusta storia fa toccare con mano il valore del proprio brand e dei propri prodotti, aiuta a creare un proprio mercato e una cerchia di acquirenti sempre più fidelizzati. Di conseguenza, aiuta anche a prevedere gli andamenti di mercato e tarare il tiro al momento giusto.

Storytelling per piccole e medie aziende

Tutti d’accordo con gli esempi sopra citati, ma come occuparsi di storytelling senza i budget di aziende come Ita Airways o Ikea? Abbiamo una buona notizia: in questo ambito un budget inferiore non rappresenta automaticamente una condizione sfavorevole, perché ciò che conta è la cura nel trovare la propria storia e nel riproporla in modo costante e deciso. Perché di fatto quella storia dovrà diventare la spina dorsale di tutta la tua programmazione content.
Qualche esempio di azienda che c’è riuscita? Te lo diamo subito!

CRAK Brewery

Tre amici trasformano la loro passione per la birra in un birrificio artigianale d’eccellenza e completamente indipendente. Dal Tone of Voice energico e ribelle, CRAK ha inaugurato una vera e propria rivoluzione nel settore, allontanandosi dall’anonimato della birra da supermercato e alzando le mani verso creatività e freschezza.

Lazzari store

Da un piccolo laboratorio anni ’80, nascosto dietro un cinema in provincia di Vicenza, una piccola azienda di famiglia crea il proprio brand di abbigliamento puntando sul tempo. Esatto, perché per Lazzari store un capo deve durare. Il risultato è uno stile classico con tocchi di sorpresa inserito in una storia che, con un taglio etico e ispirazionale, porta il made in Italy in tutto il mondo.

Hai bisogno di trovare la tua storia? Contattaci, ti guideremo noi!