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Autore: VStrategy

Presentazione – Perché tutto è Marketing

Prima non l’ho fatta, chiedo venia e mi rifaccio subito. 

Voglio riservarti una dovuta presentazione: mi chiamo Francesco Verzoni e sono consulente di Digital Marketing. Servo le aziende creando la strategia di marketing che serve a farle raggiungere i propri obiettivi e quindi a migliorare. Utilizzo le mie competenze per ideare e mettere in pratica un piano d’azione che contempli i giusti strumenti che servono al raggiungimento degli obiettivi aziendali. Ad esempio, il sito web perché e cosa deve fare, social network quali, perché e cosa devono fare, strategie di marketing come lead generation, funnel, e-mail marketing ecc. Il tutto sempre e solo rivolto alle mete dell’azienda. 

Sono cresciuto – professionalmente parlando – come imprenditore, ho iniziato nel 2013 inconsapevole di esserlo. Ero a capo di una società che operava nel settore assicurativo. Nel 2016 decido di mettermi in proprio con la mia sub agenzia e piano piano ho scoperto la scalabilità di un progetto. Ora l’azienda viene gestita da mia moglie, che ringrazio perché da un anno a tempo pieno posso aiutare le altre aziende a crescere grazie al marketing e seguire altri progetti. 

Questo blog parla sì, di marketing, ancora di più delle esperienze legate ad esso. Rendere pratici concetti teorici che sulla carta hanno un senso, quando applicati spesso ne hanno un atro, come il paradosso del “teoricamente clienti ultra mirati vs in pratica tutti i clienti”. 

Note tecniche: 

  • Pubblicherò un articolo a settimana, se lo gradisci puoi riceverlo automaticamente iscrivendoti alla mia Newsletter, riceverai tutti i giovedì anche le puntate del Podcast.

A presto

Grazie e buon proseguimento

Il fenomeno dei social

Ci sono svariate effetti e circostanze che vanno a definire l’argomento Social.

Ad esempio, la tanto discussa non privacy, fino ad ora non ho incontrato nessuno con una pistola o oggetto contundente puntato addosso a cui venisse obbligata l’iscrizione e il mantenimento della propria pagina postando cose private. Ci si può effettivamente lamentare ed alimentare polemiche per la mancanza di privacy se i primi a non garantircela siamo noi stessi?

Privacy a parte.

La greve amplificazione di concetti e pensieri grazie ai contenuti postati, alle loro reazioni da parte degli altri utenti, altro fenomeno sul quale gli utilizzatori più avvezzi gongolano. Trovano espedienti per aumentare la propria “authority”, autorevolezza graduata sulla base delle loro parole. Dietro un post c’è un obiettivo spesso distante dal contenuto, i più educati sono in grado di occultare gli obiettivi: sono figo solo io, vediamo se sto andando bene, oppure incalzando episodi e polemiche attualmente in voga. Utilizzano un principio di marketing indiretto: suscitano negli utenti emozioni ben precise utilizzando un linguaggio apparentemente distante dall’obiettivo, tipo, questo è il pallone con cui l’Italia ha vinto gli europei. Indirettamente si attribuisce un valore aggiunto al pallone, in questo caso è la vittoria.

I social, come appunto dice il termine, tengono attivo il tessuto sociale. Quando il chilometraggio rende impraticabile o difficoltoso il vis a vis, entra in campo la magia del contatto. Hanno permesso a tanti di ricollegarsi, tanta roba. Così come per gli amici, hanno evoluto anche il rapporto fra azienda e cliente. E anche qui il rovescio della medaglia, ci sono aziende che sponsorizzano il loro marchio e altre che fanno promesse che non intendono mantenere. Nel caso del mio settore, pubblicità a valanga che promettono aumenti istantanei, facili, tutti in discesa, come profitti, clienti ecc. Una discesa tranquilla. Influencer, lanciano mode, hanno il coraggio di perpetrare pensieri ed azioni con la convinzione che vadano bene per tutti o quasi (ho voluto un po’ estremizzare). Le mode non esistono.

Moda, è una conseguenza alla moltitudine.

I social hanno amplificato gli effetti del telemarketing, quasi sostituendolo. La pubblicità sui social è praticabile di fatto, da una massa critica più importante di aziende e professionisti per motivi di costi. Queste piattaforme hanno libero accesso a dei costi appunto abbordabili, effetto senz’altro positivo ai fini della libertà, un po’ meno per la nostra amica qualità e affidabilità di chi si propone.

Partendo dal principio che non c’è miglior marketing del passaparola, chi ha bisogno, e punta un all-in nelle sponsorizzate dei social, solitamente non ha vita lunga. Ripetuta iuvant, i social come ogni altro strumento digitale che oggi sono a disposizione delle aziende, sono agevolatori di contorno. Come nella commedia “La Mandragola” – Machiavelli, i social, rappresentano il garzone che dovrà morire affinché Callimaco coroni il sogno di unirsi a Lucrezia. In fin dei conti è una storia d’amore quella che si instaura fra fruitore e prodotto o servizio. Il prodotto o servizio offerti sono in grado di scaturire contentezza nel fruitore e i social non sono altro che uno strumento atto al raggiungimento facilitato del fruitore. Fanno parte della strategia pensata da Callimaco e dal suo amico Ligurio.

Parlando per l’appunto di tattiche o strategie di marketing, non esistono strategie indiscusse, piani d’azione in grado di dispensare gli stessi e certi risultati. Fare oggi le sponsorizzate – acquistare spazi pubblicitari – su Facebook, o LinkedIn, piuttosto che Instagram non assicura il raggiungimento degli obiettivi. Poi, che “tutti” lo fanno è un altro paio di maniche.

Perché il tuo prodotto deve essere sponsorizzato?

Perché l’azienda deve spendere soldi affinché il post abbia visibilità?

Perché, e a chi dovrebbe interessare il prodotto o il servizio offerti?

Rispondendo a queste domande verrà delineata la strada da percorrere.

Relazioni vs post efficaci

Sono partito quasi un decennio fa, correva l’anno 2012, quando, stanco di non essere autonomo nelle finanze, ero in cerca di lavoro. All’epoca, presentai domanda anche per entrare nei corpi militari, qualsiasi fosse stato, a me non importava. Mi sono sempre chiesto il perché non fosse significativo il tipo di corpo, peraltro, ci sono enormi differenze fra di loro, marina, aeronautica, terrestre, e di sicuro sono discriminanti in linea teorica nella scelta. Oggi forse, riesco a dare parziale risposta alla domanda: cercavo un semplice impiego, questo doveva avere tre caratteristiche fondamentali per dargli la sufficienza, essere sicuro al 1000%, tipo le poste, doveva pagare bene, in modo da permettermi un bel tenore di vita (il che è molto relativo per ognuno di noi) e cosa più importante, nel lavoro, dovevo ricevere dei compiti ben precisi, delineati, definiti, così da non occupare troppo spazio nella mia mente e nelle mie responsabilità. Ecco perché non è mai stato un fattore rilevante il tipo di corpo militare scelto. Inutile dire che spinto da queste motivazioni non sono riuscito ad entrare in nessun corpo militare. La vita, per tutta la vita, ha sparato – rimanendo in tema – esperienze contrarie. Mi sono reso conto che la vita è responsabilità. Responsabile dei propri talenti, pochi o tanti che siano, usarli in modo dà contribuire, lasciare un posto migliore di come lo si è trovato (Baden Powell). Tanto per cominciare, i soldi sono collaterali ai nostri trascorsi lavorativi e no, hanno un’importanza circoscritta alle conseguenze delle azioni lavorative, diciamo così. In merito alle certezze, come le intendevo io, beh, non ce né sono. Neanche un posto statale può essere definito privo di rischi, anche lo Stato in cui uno vive cambia. Lo dimostra la storia della politica, nello specifico quella italiana, partendo dagli antichi romani, fino ad arrivare ai nostri giorni, quante mutazioni.

Lo status quo della mia esperienza: oggi sono consulente freelance, mi occupo di consulenza aziendale, nello specifico mi occupo di strategie di marketing e digital marketing, servo le aziende fornendo loro strategie applicabili allo strumento web e non solo. Approdato al marketing passando per circa dieci anni, dal settore assicurativo, gestendo insieme a mia moglie, negli ultimi anni, il nostro ufficio. Ora è il suo bambino.

Rileggendo queste righe, così a colpo d’occhio, è quasi impossibile non rendersi conto che nessuna delle cose da me auspicate all’inizio del percorso sia arrivata. Forse, gli esatti opposti in termini di significato. Il fattore che ancora oggi mi lascia di stucco, in senso positivo è che non avrei mai potuto immaginare di camminare in un sentiero simile, di vivere ciò che ho vissuto e di imparare molto proprio nel tema relazioni. Ho praticamente incontrato e conosciuto decine di migliaia di persone. Ognuna di loro ha condiviso con me qualcosa, un caffè, una risata, una breve discussione, una cena, una vacanza, un rapporto più profondo, un ciao, una relazione lavorativa di lunga durata.

Da qui l’importanza delle relazioni. Il confronto. Condividere qualcosa. Impariamo costantemente da questo qualcosa.

Le relazioni sono state l’ingrediente, le fondamenta di ciò che oggi rappresenta la mia persona.

Lo scambio è crescita. Lo denota uno dei lavori moderni, c’è chi si occupa di public relation. È il primo marketing. È un fenomeno in costante crescita. All’inizio di ogni storia c’è qualcuno che deve credere in essa. Qualsiasi sia il prodotto, il servizio, l’impresa. Tutto inizia con la relazione.

Il famoso – do ut des locuz. lat. (propr. «do [a te] perché tu dia [a me]»). – Nel diritto romano, denominazione di un tipo di contratto innominato, che si configura quando la prestazione già eseguita e quella che si aspetta in cambio consistono entrambe nel trasferimento di proprietà di una cosa (permuta). La locuzione (talora sostantivata al masch.) si usa anche con sign. più generico, a proposito di favori che si fanno nella previsione di ricevere adeguato contraccambio.

[Treccani https://www.treccani.it/vocabolario/do-ut-des/ ]

Tutte le relazioni, tutte, si basano su questo principio, la previsione (non la certezza) che si possa ricevere qualcosa in cambio.

Dunque perché lo si fa?

Sosta su “tipo di contratto innominato”, come da definizione sopra. L’obbligo di dare qualcosa in cambio non trova posto nel concetto. È più una aspettativa che nasce dopo il “do”. Anche quando manca la seconda parte, “ut des” – mi perdonino i latini per aver manipolato il detto – in realtà non viene a mancare nulla. Di fatto, l’uso delle parole è importante, non corrisponde alla matematica, cambiando “l’ordine” degli addendi si ottengono significati completamente diversi: “dare per ricevere”, “dare, ricevere per”. Quando non si riceve qualcosa, è apparenza.

Le relazioni sono degli indicatori. Vengono studiate a tutti i livelli, analisi trasversali a parecchie materie, marketing, psicologia, filosofia, antropologia ecc.

Relazione tra fornitore e fruitore in senso ampio e massimo, riesce a racchiuderne tutte le tipologie. Sono due ruoli interscambiabili. Peraltro, l’interscambio è il nucleo. Trovo interessante il parallelismo con la frase: “non fare ciò che non vuoi sia fatto a te”. In fin dei conti entrambe le posizioni, fornitore e fruitore, interessano in maniera costante qualsiasi persona.

Le relazioni non possono essere soppiantate da chat, like o follower.

Si è vista più una loro aggregazione a questo macro-tema. Dietro un like non è detto che ci sia un like, così come dietro un follower non è garantito che ce ne sia uno interessato.

Le relazioni partono dall’uomo e finiscono con esso.

La tecnologia è un mezzo, muta mangiandosi anche tre generazioni alla volta. Rimane pur sempre un mezzo.

L’essere umano con le sue relazioni non è sostituibile.

Come scegliere il proprio uomo di marketing

Tentare non è uno spreco. Ogni tentativo, qualunque esso sia, porta ad un risultato. Quest’ultimo quando analizzato sarà preparatorio.

Porterà conoscenza.

Il sapere, ovvero convertire l’ignoto, assegna perfezione alle azioni che vengono messe in pratica perché frutto di ragionamenti completi.

Quando ci affidiamo ad un professionista che intuisce soluzioni senza avere un quadro, ampio e in 4 o 15K (fra qualche anno per i nostri schermi), anche in questo caso, non stiamo sprecando né tempo, né denaro. L’esperienza sarà propedeutica a rintracciare un professionista che faccia più al caso nostro la volta successiva. Seppur positiva, un po’ di amaro in bocca lo lascia comunque.

Se non si ha voglia di vivere relazioni simili, sbatterci qualche dente, c’è un modo per evitare tutto ciò con largo anticipo?

Ni, e ti spiego il perché secondo me.

Magari serve proprio per poter apprezzare la professionalità del consulente successivo. Come anticipato, l’esperienza erudisce. Pertanto, serve.

In una seconda ipotesi, dove non occorre passare il test, si può evitare solo osservando l’interlocutore.

Il professionista deve, ripeto, deve fare domande. Domande che seguono un fil rouge, altrimenti, quando distanti tra loro, si accende il primo segnalatore lampeggiante.

Le domande sono mirate e vogliono argomentare le risposte date ai quesiti precedenti fino ad esaurire il tema discusso. Di temi dà investigare ce ne sono parecchi per un’azienda. È ottimo che il professionista chieda di poter intervistare qualche altra figura aziendale quando le materie dà approfondire sono specialistiche. Nelle aziende è fondamentale che ognuno ricopra un ruolo ben delineato e, anche se il CEO ha il quadro generale dello stato dell’arte, spesso è utile fare due chiacchiere con gli addetti ai reparti.

Secondo segnalatore lampeggiante.

Il consulente di marketing, sentendo il profumo di accettazione da parte dell’imprenditore, giusto per calzare un po’ la mano e per assicurarsi il lavoro, che fa?

Apre il book dei ricordi. Fantastico.

Giusto per avvalorare il suo essere, i lavori ideati e creati per altri, li mostra senza remore. In primo luogo, non sono i suoi. Sì, lui li ha creati, li ha materializzati, ma lo ha fatto per qualcun altro e di fatto, sono ad esclusiva lettura e scrittura del destinatario. Correnti di pensiero si scontrano su questo punto. Chi asserisce: “Non c’è nulla di male”, piuttosto che, “condividere per migliorare”, potrei essere anche d’accordo ma… So soltanto che mostrare il lavoro svolto non è sinonimo di intelligenza, bravura e professionalità. Non serve e non è etico mostrare situazioni altrui. Dentro il documento prodotto vengono riportati vita morte e miracoli dell’azienda per cui sto lavorando. Al di là di principi moralistici.

Quand’è che si mostra qualcosa di tangibile il cui obiettivo è avvalorare il proprio soliloquio?

Lascio a te la risposta.

Il bravo consulente, durante il colloquio, attiva un po’ della sua arguzia, elargisce piccoli spunti che rimangono in superficie – si limita solo a quelli – e l’imprenditore intuisce che quest’ultimo è sul pezzo quanto basta.

Terzo segnalatore lampeggiante.

Le tempistiche di svolgimento, quando molto brevi equivalgono a fretta. Fretta di emettere fattura, di completare il lavoro per saltellare verso il lavoro successivo, o qualsiasi altro tipo molla che porta il consulente ad avere fretta non è buona per il nostro amico imprenditore. La fretta porta alla pressione, elemento che spesso viene sottovalutato. Considerato che diventare un albero di natale canoro non è tra gli obiettivi primari del titolare d’azienda, non appena il nostro caro consulente accenna a tempistiche poco consone del tipo, “tranquillo completerò il lavoro per domani” o ancora peggio “per ieri” perché di certo anche il nostro amico titolare ha i suoi difetti ed è abituato a chiedere le cose per il giorno prima, beh non si può fare. È di fondamentale importanza che il consulente abbia il giusto tempo da dedicare all’azienda per la quale si sta prefiggendo di voler lavorare. Non esistono scorciatoie o autostrade. Esiste il processo che, ahimè, non può subire tagli.

In definitiva.

Ho evidenziato tre possibili comportamenti che dovrebbero tenere in guardia l’imprenditore. Naturalmente ce n’è uno per ogni sfaccettatura caratteriale, temporale e circostanziale della persona in questione e non basterebbe il tempo di sette vite per giungere a conclusioni corrette.   

In fin dei conti, diciamocelo, fra due persone deve scattare la scintilla, siamo e rimaniamo esseri umani. La nostra pelle detiene buona parte della sfera di comando.

Il marketing non è pubblicità

Partiamo dal principio

Che cos’è il marketing?

Tutto è marketing, ogni cosa (prodotti), azione (servizi), pensiero (idee) vengono venduti o scambiati, il marketing ne più ne meno riguarda tutto il processo del come vengono venduti o scambiati.

Non ha importanza se l’idea, il prodotto o il servizio sarà o no un successo, quello che occupa posto di maggior rilievo è come viene “confezionato” il prodotto finale e perché.

In termini teorici – dove le emozioni non hanno lo stesso peso che assumono nel quotidiano – al sorgere di una nuova idea, dopo averla scarnificata di ogni giudizio e opinione (nel marketing non esistono), basta attuare il giusto processo.

Partiamo dal marketing analitico.

È l’inizio del percorso. La nascita del complesso di informazioni, idee e azioni che prenderanno forma nel futuro.

Come fosse un bambino appena nato, dovrà crescere, alimentarsi, passare il periodo dell’adolescenza dove parlerà meno con i genitori, è più disobbediente, poi matura, fino a diventare adulto e perché no, anche saggio.

Il reperimento delle informazioni è lo scheletro del nostro bambino, è la sua struttura portante che gli permetterà di muovere i primi passi, di fare i primi scivoloni, di medicarsi la sbucciatura per poi rialzarsi e riprovarci. Trovare le giuste informazioni è fondamentale. L’analisi del mercato, ci permette di avere una panoramica completa e generale, come i dettagli necessari a strutturare la strategia. Allo stesso modo, analisi dei competitor e ancor più del target che potrebbe rivolgersi a noi.

Parafrasando Seth Godin: “Il target fa il nostro lavoro, non facciamo il nostro lavoro per poi trovare il target di riferimento.”

Una corretta e approfondita analisi ci permette meno incognite e una strada in alta definizione. Non parlo dei risultati, piuttosto del percorso. È fondamentale avere una linea percorribile più netta possibile.

In definitiva, il marketing analitico ci fornisce tutta la serie di informazioni necessarie a fare impresa. Mercato di riferimento, competitor, strumenti digitali, ciclo di vita del prodotto, target e così via. Si raccomanda l’uso del grandangolo alternato alla lente di ingrandimento.

Reperite, archiviate e studiate tutte le informazioni si passa al

Marketing strategico

Confronto fra informazioni e azioni. Fra le due non ci sono vincitori, lo sono entrambe. La ricetta dice che avremo una cosa sola, la miscelazione fra le due in perfetto equilibrio.

Così viene redatta la miglior strategia, è super parte, tiene conto di tutto, quasi prende forma da sola dopo gli input forniti dal marketing analitico.

Il suo obiettivo è rispondere ad ogni perché basandosi sullo stato oggettivo dell’arte, fornendo così nuovi spunti.

Il marketing strategico ci accompagnerà fino alla fine del viaggio. Perché evolve di giorno in giorno. E per ogni giorno fornisce nuove risposte che alimentano la strategia, modellandola. L’arte dell’uomo di marketing scende in campo. Tutte le sue abilità convogliate nella creazione della mappa e della sua evoluzione. Proprio come nella storia dell’uomo. Le mappe terrestri hanno subito una miriade di trasformazioni nel tempo, via via più ricche di dettagli che hanno sostituito le imperfezioni.

La strategia di marketing ci spiega le motivazioni tenendo fissi in alto gli obiettivi. Espone le strade percorribili. Non si basa sulle emozioni.

 

Oh oh oh! è arrivato il Marketing operativo

Beh, lui è l’amico più concreto, ci da una mano all’atto pratico, è l’unico che può farci da pungiball. In effetti, è l’unico che ci sopporta. A lui si collegano il piano tattico, scaletta di azioni messe in ordine cronologico e prioritario e l’utilizzo di tutti gli strumenti a nostra disposizione, comprese tutte le forme e tipologie pubblicitarie che ahimè, oggi occupano troppo spazio nella nostra cultura professionale. Forse perché il cliente vede la punta dell’iceberg e non ha dimestichezza con tutto il processo. L’utente finale vede la sponsorizzata su Facebook, vede le offerte del giorno gentilmente evidenziate da Amazon, insomma vede forse una crepa formatasi sulla punta dell’iceberg il quale in realtà, raggiunge profondità quasi recondite dove i raggi del sole faticano. Quando la stessa persona si rivolge all’uomo di marketing perché crede di aver bisogno del marketing, è in grado di chiedere solo quella crepa, l’unica cosa che per lui è tangibile, visibile, udibile. È normale. A questo punto deve entrare in campo la voglia, la pazienza e la correttezza dell’uomo di marketing che ripone fiducia nel proprio lavoro. Non si può fare così. Questa è la sua risposta.

Al contrario, continuerebbe ad alimentare il mercato scorciatoistico, effimero, dove i risultati duraturi non hanno spazio.

Il marketing è più di una trovata pubblicitaria che potrebbe far aumentare i profitti. Ad oggi sono stati coniati mille termini per racchiudere in una parola o due, metodi per fare pubblicità e riportati nelle chek-list delle cose da fare, lead generation, inbound marketing, viral marketing ecc. purtroppo non si tratta della panacea in grado di ribaltare le sorti del mercato o dell’azienda stessa. Il marketing è all’inizio e alla fine, è il contenitore dei risultati.

 

 

 

Il marketing non è comunicazione,

il marketing non è pubblicità,

il marketing non è magia.

 Il marketing è in ogni dove,

Una domanda che trova la sua risposta in un perché è marketing.

 

Il cliente non ha sempre ragione

Correnti di pensiero asseriscono il contrario, ma è vero che il cliente ha sempre ragione?

No. In primo luogo è un essere umano, come chi gestisce il customer care del prodotto o servizio che ha acquistato. Il cliente ha sempre ragione quando osserva in maniera pedissequa le regole dell’azienda alla quale si è rivolto.

L’azienda ha stilato le proprie regole? È pronta ad informare – formare il cliente su queste ultime?

Partendo dal principio, l’azienda necessita di un proprio management di regole, linee guida da seguire.

Il cliente va educato.

Educato all’approccio con l’azienda, così quando sorge il possibile malinteso, sappiamo già cosa fare. Così quando il cliente potenzialmente arrabbiato, vedendosi rientrare in una casistica precisa, già delineata, non può fare altro che tranquillizzarsi. In effetti, sono le cose sconosciute che ci fanno più paura. Il “non si sa come andrà a finire”.

Visione utopica per tutte quelle aziende che non hanno regole pronte a racchiudere le loro casistiche.

Creare dei contenitori per macro aree dai quali non si esce. Quando ci si addentra lande sconosciute, fuori dai contenitori, beh, il terreno è inesplorato e può portare spiacevoli sorprese.

Il cliente va educato.

Così quando ha ragione, davvero, perché si è mosso nello stesso terreno da gioco che ha creato l’azienda, sicuramente avrà tutto il supporto necessario per risolvere la sua esigenza. Sarà, dunque, un cliente che parlerà solo bene, anzi lo urlerà, perché quando trovatosi in difficoltà è stato accolto. È passato da un momento di crisi ad un momento di serenità.

Il miglior marketing di sempre.

Dipende…

Canzoni a parte, dipende dovrebbe essere la risposta più gettonata dal vero consulente.

Faccio riferimento a tutti quelli che sono in grado di dare per certo cose che non lo sono affatto e che non possono essere tantomeno previste in forma garantita.

Il cliente oggi ha a che fare continuamente con figure professionali che pur di accaparrarsi il lavoro assicurano i risultati.

Se il risultato è di fatto la conseguenza delle molteplici azioni messe strategicamente in atto seguendo un piano ben preciso e, soprattutto, dinamicamente strutturato in base al ritorno dati per ogni singola azione: come si fa a garantire cose del tipo, aumento del fatturato, aumento leads settimanale ecc. ecc.???

Semplicemente non si può.

La bravura del vero professionista sta nel trasformare la parola “dipende” in “possiamo fare così perché”.

All’inizio c’è sempre un dipende, ed è l’unica parola magica in grado di non farci mai dare le cose per scontate.

Il focus

La famosa “crisi” (c’è sempre stata una “crisi”), gli ultimi avvenimenti, il covid, si respira aria di scarsità, le persone sono in attesa. Al di là del parlare di complottismo che non porterà mai a conclusioni proattive e concrete, tutto questo ha portato effetti collaterali importanti che hanno influito nel nostro modo di pensare, nel nostro modo di agire, nel nostro modo di relazionarci con gli altri.

Una persona che vive nella scarsità sarà una persona malfidata, improduttiva in quanto non crede nell’azienda per la quale lavora, non crede in sé stesso come non crede neanche che ci sia qualcosa di buono nel sistema.

Un’azienda che vive nella scarsità è un’azienda che deve vendere a tutti i costi. Trovare escamotage sempre nuovi per vendere, vendere, vendere. E, quando necessario vendere a discapito dei valori sui quali è stata fondata l’azienda.

Azienda che pondera strategia e decisioni su profitti a breve termine.

Il mercato non avrà pietà di lei.

Se invece il focus è rivolto sull’abbondanza (in senso molto ampio) tutte le nostre azioni saranno un derivato di questo mood.

Questo tema è importante.

Il punto di partenza delle nostre azioni, di qualunque settore o campo esse siano: lavoro, vita privata, relazioni etc.

Questo tema è complesso.

Significa che posso essere concentrato su uno “sgarbo” ricevuto da un competitor e fargliela pagare osservando la legge del taglione, oppure decido di convogliare tutte le energie verso la produttività quotidiana auspicata, pianificata ed osservata.

Due azioni diverse, portano un risultato differente.

Il focus è ciò che noi siamo e ciò che noi saremo.

Lavorare in team

Lavorare in team

La condivisione costituisce le fondamenta di un team in grado di portare l’azienda a raggiungere nuove vette. 

Negli anni ‘900 c’era la catena di montaggio dove agli operai non interessava l’andamento della propria azienda sul mercato, se la propria azienda fosse sulla cresta dell’onda o meno. A loro interessava produrre di più, assemblare di più, perché pagati a cottimo. Incentivati con il denaro. 

Per citare una frase tratta da un grandissimo testo:

Spietata onestà intellettuale, disprezzo dell’interesse personale, profonda devozione al team

Doerr J., Rivoluzione OKR, Edizioni LSWR, 2019.

Alla base, appunto, è necessaria la coesione che deriva dalla condivisione dove in primis, in assoluto, la condivisione è degli intenti. Le intenzioni di un individuo sono il perché delle sue azioni. Immagina due persone, riguardo la stessa cosa, hanno intenti differenti, va da sé che non si potrà auspicare al raggiungimento del risultato prefissato, in quanto agiranno diversamente per raggiungere mete diverse. Le due persone in questione sono mosse da intenti differenti, valori differenti. La potenza di avere valori e quindi intenti simili fra più persone rende l’azienda impresa. 

Questa filosofia aziendale smussa tutte le disparità che ci sono fra persone di diverso livello e grado gerarchico, il quale infatti, si è evoluto in grado di responsabilità.

Agli occhi della dichiarazione di intenti sono tutti uguali, di modo che tutti lavorino con lo stesso focus, rivolto sugli obiettivi più alti che ha l’azienda.

I principali effetti benefici del management di questo tipo: azienda attiva e reattiva, coesa, forte nel mercato e non si lavora per soldi, quelli sono una conseguenza. 

Per questo si dice l’unione fa la forza, una forza esponenziale se messa a paragone di quella del singolo. 

La strategia – non può essere statica

La strategia – non può essere statica

Definizione: “La tecnica di individuare gli obiettivi generali di qualsiasi settore di attività pubbliche e private, nonché i modi e i mezzi più opportuni per raggiungerli: s. politicaeconomicasocialela s. elettorale di un partito” (https://www.treccani.it/vocabolario/strategia/)

E tu per definire la tua strategia, hai iniziato dagli obiettivi che vuoi raggiungere?

Hai definito i modi e i mezzi più opportuni per raggiungerli?

Terza domanda – rullo di tamburi – hai temporizzato gli obiettivi messi in relazione con i modi, i mezzi e le unità di misura per monitorarli?

Continuiamo con alcuni cenni storici, perché la storia insegna. Quante volte abbiamo sentito o letto di generali temerari che hanno applicato una strategia strettamente relegata ad un obiettivo più alto e che sono riusciti a vincere nonostante i pronostici sfavorevoli.

Annibale, ad esempio, nella famosa battaglia di Canne, è riuscito ad avere la meglio sui romani nonostante il loro fosse un esercito numericamente più grande. Annibale voleva/doveva vincere assolutamente la battaglia di Canne per spostare gli equilibri delle alleanze romane, di fatti vinta la battaglia la città di Capua e altre prestarono fedeltà a Cartagine.

Tornando nel nostro qui ed ora, a me non piace la guerra, però in situazioni così estreme si sono verificate le azioni più intraprendenti ed efficaci, e, studiandole, osservandole attentamente, si possono intuire molte verità.

Applicando questi concreti parallelismi al marketing, riguardo la strategia, quest’ultima vuole alti obiettivi, dove subito sotto ci sono quelli operativi. Obiettivi che si possono temporizzare, e per i quali si possono delineare le azioni che ci faranno avvicinare al raggiungimento di quelli più alti.

Viene da sé che le azioni vanno misurate: anche se non ero presente, l’errore commesso dai romani, nella strategia adottata contro Annibale, è stato quello di non cambiare tattica durante il corso della guerra. Hanno sempre temporeggiato, fino all’ultimo hanno aspettato di vedere il susseguirsi degli eventi e delle decisioni prese dai cartaginesi. Questo dimostra che non hanno misurato le azioni, per applicare correttivi. Sono rimasti attoniti nell’osservare gli eventi.

Puoi avere le risorse, il tempo, le energie e la strategia, ma se non misuri poi quello che fai, hai buone possibilità di non raggiungere gli obiettivi che ti sei prefissato. Ma questa è un’altra storia.

La strategia è il punto di partenza e deve necessariamente essere elastica.