Il fenomeno dei social
Ci sono svariate effetti e circostanze che vanno a definire l’argomento Social.
Ad esempio, la tanto discussa non privacy, fino ad ora non ho incontrato nessuno con una pistola o oggetto contundente puntato addosso a cui venisse obbligata l’iscrizione e il mantenimento della propria pagina postando cose private. Ci si può effettivamente lamentare ed alimentare polemiche per la mancanza di privacy se i primi a non garantircela siamo noi stessi?
Privacy a parte.
La greve amplificazione di concetti e pensieri grazie ai contenuti postati, alle loro reazioni da parte degli altri utenti, altro fenomeno sul quale gli utilizzatori più avvezzi gongolano. Trovano espedienti per aumentare la propria “authority”, autorevolezza graduata sulla base delle loro parole. Dietro un post c’è un obiettivo spesso distante dal contenuto, i più educati sono in grado di occultare gli obiettivi: sono figo solo io, vediamo se sto andando bene, oppure incalzando episodi e polemiche attualmente in voga. Utilizzano un principio di marketing indiretto: suscitano negli utenti emozioni ben precise utilizzando un linguaggio apparentemente distante dall’obiettivo, tipo, questo è il pallone con cui l’Italia ha vinto gli europei. Indirettamente si attribuisce un valore aggiunto al pallone, in questo caso è la vittoria.
I social, come appunto dice il termine, tengono attivo il tessuto sociale. Quando il chilometraggio rende impraticabile o difficoltoso il vis a vis, entra in campo la magia del contatto. Hanno permesso a tanti di ricollegarsi, tanta roba. Così come per gli amici, hanno evoluto anche il rapporto fra azienda e cliente. E anche qui il rovescio della medaglia, ci sono aziende che sponsorizzano il loro marchio e altre che fanno promesse che non intendono mantenere. Nel caso del mio settore, pubblicità a valanga che promettono aumenti istantanei, facili, tutti in discesa, come profitti, clienti ecc. Una discesa tranquilla. Influencer, lanciano mode, hanno il coraggio di perpetrare pensieri ed azioni con la convinzione che vadano bene per tutti o quasi (ho voluto un po’ estremizzare). Le mode non esistono.
Moda, è una conseguenza alla moltitudine.
I social hanno amplificato gli effetti del telemarketing, quasi sostituendolo. La pubblicità sui social è praticabile di fatto, da una massa critica più importante di aziende e professionisti per motivi di costi. Queste piattaforme hanno libero accesso a dei costi appunto abbordabili, effetto senz’altro positivo ai fini della libertà, un po’ meno per la nostra amica qualità e affidabilità di chi si propone.
Partendo dal principio che non c’è miglior marketing del passaparola, chi ha bisogno, e punta un all-in nelle sponsorizzate dei social, solitamente non ha vita lunga. Ripetuta iuvant, i social come ogni altro strumento digitale che oggi sono a disposizione delle aziende, sono agevolatori di contorno. Come nella commedia “La Mandragola” – Machiavelli, i social, rappresentano il garzone che dovrà morire affinché Callimaco coroni il sogno di unirsi a Lucrezia. In fin dei conti è una storia d’amore quella che si instaura fra fruitore e prodotto o servizio. Il prodotto o servizio offerti sono in grado di scaturire contentezza nel fruitore e i social non sono altro che uno strumento atto al raggiungimento facilitato del fruitore. Fanno parte della strategia pensata da Callimaco e dal suo amico Ligurio.
Parlando per l’appunto di tattiche o strategie di marketing, non esistono strategie indiscusse, piani d’azione in grado di dispensare gli stessi e certi risultati. Fare oggi le sponsorizzate – acquistare spazi pubblicitari – su Facebook, o LinkedIn, piuttosto che Instagram non assicura il raggiungimento degli obiettivi. Poi, che “tutti” lo fanno è un altro paio di maniche.
Perché il tuo prodotto deve essere sponsorizzato?
Perché l’azienda deve spendere soldi affinché il post abbia visibilità?
Perché, e a chi dovrebbe interessare il prodotto o il servizio offerti?
Rispondendo a queste domande verrà delineata la strada da percorrere.