Skip to main content

Visual Identity: i 5 errori da evitare

La visual identity non è solo una questione di estetica: è il volto con cui il brand si presenta al mondo.

Ogni elemento – dal logo ai colori, dalla tipografia alla disposizione degli spazi – deve essere pensato per comunicare in modo chiaro e coerente la missione, i valori e l’approccio di business di un marchio o di una azienda.

Tuttavia, non è raro vedere brand che commettono errori nella progettazione della loro brand e visual identity, che possono compromettere la riconoscibilità del brand, diminuirne l’appeal e, nel peggiore dei casi, comunicare un posizionamento sbagliato.

In questo articolo, esploreremo i 5 errori che è bene evitare per garantire al proprio marchio una immagine forte, coerente e memorabile.

1. Non definire chiaramente il concept visivo del brand

Un errore assai comune nella definizione della visual identity è non partire da un concept chiaro.

Spesso, infatti, si tende a progettare logo, pittogramma e immagine di brand senza un quadro tecnico-strategico (il cosiddetto brand book) che definisca il tipo di messaggio che il brand vuole trasmettere. Questo errore può portare a scelte estetiche incoerenti e disorganizzate. La visual identity deve nascere da una riflessione profonda sui valori e sugli obiettivi del brand.

Ogni elemento, dal logo ai colori, deve raccontare una storia coerente e trasmettere l’essenza del brand in modo immediato. Ignorare questo passo iniziale significa rischiare di creare uno stile grafico non in linea con l’immagine che si vuole comunicare o il posizionamento ricercato.

 

   

Nelle immagini, gli elementi del pittogramma e il logo di Piazza del Papa Ancona.

2. Non considerare la psicologia del colore

I colori non sono un mero dettaglio, ma sono uno degli strumenti più potenti per comunicare l’identità visiva di un brand.

Ogni colore evoca emozioni specifiche e associazioni cognitive nel pubblico e nei consumatori. Per esempio, il blu è spesso associato alla fiducia e alla serenità, mentre il rosso evoca energia e passione.

Un errore molto comune è scegliere i colori senza tener conto del loro significato e dell’impatto psicologico che hanno sul pubblico. La palette cromatica di un brand deve essere pensata non solo in relazione alla visibilità e l’appeal visivo, ma anche rispetto ai valori che il brand intende comunicare onde evitare di compromettere l’efficacia della comunicazione visiva.

 

Nell’immagine, la palette cromatica associata ai singoli elementi del pittogramma di Piazza del Papa Ancona.

3. Incoerenza in fase di applicazione

Un altro errore diffuso è quello di applicare la visual identity in modo incoerente su diversi canali e piattaforme. Se un logo, la palette colori appaiono in modo diverso su Instagram, sul sito web e su una brochure cartacea, il brand perde di riconoscibilità. Ricordate queste parole come un mantra: l’incoerenza visiva genera confusione.

Per evitare questo errore, fondamentale è avere delle linee guida precise per l’uso della visual identity, incluse le regole per il logo, i colori, la tipografia, le immagini e la disposizione degli elementi. Queste linee guida, contenute spesso nel brand book, devono essere seguite rigorosamente, indipendentemente dal mezzo o supporto utilizzato per la vostra comunicazione. Coerenza visiva è sinonimo di affidabilità.

 

 

4. Sovraccaricare la visual identity di (troppi) dettagli

Un altro errore comune nella progettazione di una visual identity è il tentativo di inserire troppi elementi grafici, o dettagli troppo complessi da distinguere. L’eccesso di elementi decorativi distoglie in genere l’attenzione dal messaggio principale, a discapito della leggibilità e della chiarezza visiva. Un design troppo carico rischia di confondere il pubblico anziché attrarlo.

La visual identity deve essere semplice e facilmente riconoscibile. È essenziale mantenere un buon equilibrio tra estetica e funzionalità, evitando di sovraccaricare la composizione grafica. Un buon design è quello che riesce a comunicare con pochi, ma efficaci, dettagli. Il “less is more” è una filosofia da applicare con molta attenzione, specie nel graphic design.

5. Tralasciare la scalabilità e versatilità

Ultimo, ma non meno importante, è l’errore di non considerare la scalabilità e la versatilità della visual identity. Un logo che appare benissimo su un cartellone pubblicitario potrebbe non essere altrettanto efficace su una superficie ridotta come quella di un bigliettino da visita. Allo stesso modo, una palette cromatica che funziona online potrebbe non rendere lo stesso impatto su materiali stampati.

 

Una visual identity vincente deve essere progettata per adattarsi a diversi formati e contesti senza perdere di qualità. Questo significa che il logo deve essere leggibile e riconoscibile anche a dimensioni ridotte, e i colori devono risultare coerenti sia su schermo che su supporti fisici. Una buona progettazione della visual identity deve quindi pensare alla versatilità, per garantire una comunicazione efficace in ogni contesto.

Creare una visual identity forte non è un processo che si improvvisa, ma richiede un’attenta pianificazione, analisi strategica e attenzione ai dettagli. Evitare questi errori vi permetterà di costruire un’immagine visiva coerente e autorevole, capace di differenziare la vostra azienda all’interno del mercato e aumentare la vostra riconoscibilità.

Se state pensando di rinnovare o definire la vostra visual identity, ricordate che ogni elemento visivo deve essere scelto con consapevolezza e coerenza, mantenendo sempre il focus sulla percezione ed esperienza che desiderate offrire al pubblico.

Se invece avete ancora dubbi o domande oppure non sapete da dove partire, contattateci. Lo vedremo insieme.

3 strumenti di grafica “easy going” per marketer e professionisti

Catturare l’attenzione con contenuti visivi accattivanti è essenziale, ma non sempre si hanno il tempo o le competenze per utilizzare software o strumenti di grafica complessi come Illustrator.

La buona notizia? Oggi esistono strumenti pensati per semplificare il processo creativo, rendendo il design accessibile anche a chi non è un graphic designer esperto.
In questo articolo, vedremo insieme i tre migliori tool di design grafico che vi permetteranno di creare contenuti visivi in modo intuitivo e rapido, senza rinunciare alla professionalità.

1. Canva: il pioniere del design accessibile

Canva Dashboard

Partiamo proprio da lui.
Quando si parla di strumenti di grafica user-friendly, Canva è il primo nome che salta alla mente. Creato con l’obiettivo di rendere il design grafico accessibile a tutti, Canva è oggi uno degli strumenti di grafica che mette a disposizione degli utenti un’ampia gamma di modelli, elementi grafici e font, tutti in un unico luogo.

Che voi dobbiate creare una grafica per un post social, una presentazione aziendale, una brochure o un logo, Canva vi permette di partire da template professionali modificabili con un semplice drag and drop.

Il suo punto di forza?

La sua estrema facilità di utilizzo (e non a caso!). Anche chi non ha esperienza può ottenere risultati dall’aspetto professionale in pochi e semplici passaggi, anche con la versione free.
E se invece avete bisogno di accedere a funzionalità avanzate come la rimozione dello sfondo, il ridimensionamento automatico delle immagini e l’accesso a un archivio di foto, video e template di alta qualità, Canva Pro è la versione a pagamento che fa per voi.

2. VistaCreate: l’alternativa veloce e versatile per il design grafico

VistaCreate

Se Canva è il re indiscusso dei tool per il design grafico accessibile, VistaCreate (rebrand del vecchio e caro Crello) è la sua valida alternativa.
Perfetto per tutti coloro che cercano uno strumento grafico pratico e veloce: si tratta di una piattaforma dalle funzionalità simili a quelle proposte da Canva, ma che si distingue per la gestione eccellente dei contenuti animati, che la rendono particolarmente adatta per chi desidera realizzare video social o banner animati senza ricorrere a strumenti complessi.

VistaCreate è dotato di una libreria ricca di modelli animati, ideali per chi vuole dare movimento ai propri contenuti grafici in una manciata di clic.

La versione gratuita offre accesso a una selezione discreta di animazioni, mentre con la versione Pro è possibile sbloccare l’accesso ad una raccolta di effetti e risorse grafiche ancora più ampia.

3. Adobe Express: la potenza di Adobe a portata di clic

Adobe Exspress

Per i professionisti che invece desiderano la qualità garantita dal marchio Adobe, ma in una versione più snella rispetto ai software tradizionali, Adobe Express (ex Adobe Spark) rappresenta un’ottima opzione.

Questo tool permette di creare rapidamente grafiche, video brevi e contenuti di vario genere con una semplicità sorprendente, pur mantenendo l’alta qualità che contraddistingue i prodotti del marchio.

Adobe Express è particolarmente apprezzato per i contenuti destinati ai social media, con layout predefiniti e adattabili alle diverse esigenze e piattaforme. La sua integrazione con Creative Cloud lo rende inoltre ideale per chi ha già familiarità con l’ecosistema Adobe, permettendo anche l’accesso a risorse aggiuntive come Adobe Fonts e Adobe Stock.

Alcuni dei nostri consigli da tenere bene a mente per ottenere il massimo risultato

Sfruttare il più possibile i template grafici

Mai partire da zero se non è realmente necessario. I template sono un ottimo modo per risparmiare tempo e ottenere risultati professionali: basta poco per personalizzarli e adattarli allo stile grafico della vostra brand identity.

Organizzare il lavoro in cartelle

Se lavorate su più progetti, soprattutto in team, è bene scegliere un tool che vi permetta di organizzare i file e le risorse grafiche in cartelle ordinate, così da mantenere il flusso di lavoro snello, lineare e collaborativo.

Personalizzare i contenuti a seconda del canale o piattaforma utilizzati

Gli strumenti di grafica che abbiamo visto permettono tutti di adattare con facilità i contenuti per le diverse piattaforme, chi in modo gratuito e chi a pagamento. Nella scelta del tool, tenete presente quindi che ogni grafica è bene sia ottimizzata in base ai requisiti del canale di distribuzione, come dimensioni, formati e risoluzione.

Semplici da usare, versatili e spesso dotati di funzionalità avanzate, Canva, VistaCreate e Adobe Express possono aiutare a fare la differenza permettendo a marketer e professionisti di creare contenuti efficaci senza la necessità di un background da designer grafico.

La chiave del successo?
Saperli sfruttare al meglio, con una strategia chiara e attenzione ai dettagli, per comunicare in modo visivamente impattante e coerente con la propria visual identity.

Branding e colori: 5 domande per una brand identity di successo

La palette colori rappresenta l’anima di un brand: ma come mai la scelta del colore è così determinante nella definizione di una brand identity efficace e funzionale?

Nel cercare di rispondere, abbiamo chiesto aiuto a uno dei nostri grafici e, in occasione della Giornata Mondiale del Colore di oggi, abbiamo stilato con lui la lista delle 5 domande chiave da porsi per lo sviluppo di una brand identity capace di cogliere nel segno.

Buona lettura!

Il marketing e i colori

Dal punto di vista comunicativo, i colori sono delle vere e proprie leve in grado di veicolare e diffondere al mercato messaggi ben precisi e creare con il pubblico profonde connessioni emotive.

I colori contribuiscono difatti a:

  • Differenziare il brand: la scelta di determinati colori piuttosto che altri conferisce alla vostra brand identity unicità e distintività.
  • Comunicare emozioni e sensazioni: da sempre, i colori hanno il potere di suscitare in chi osserva precise emozioni e sensazioni esperienziali.
  • Attirare l’attenzione: colori vivaci e brillanti aiutano a richiamare più facilmente l’attenzione di utenti e consumatori.
  • Influenzare le decisioni di acquisto: i colori possono intaccare anche il modo in cui il target e il mercato percepiscono il vostro marchio.

Per addentrarci ora nel vivo della questione, abbiamo fatto al nostro grafico una serie di domande e condensato di seguito le risposte salienti al fine di aiutarvi a comprendere l’incidenza e la centralità che i colori assumono nella vostra comunicazione.

5 domande per una brand identity di successo

Ecco le 5 domande strategiche per la scelta della color palette più idonea a riflettere la vostra identità aziendale:

1. Quali sono i sentimenti e i valori che il vostro brand vuole trasmettere?

Prima di procedere con la definizione della vostra identità di brand, fondamentale è capire bene quali sono i valori alla base del vostro marchio, al fine di optare per i colori più idonei a suscitare nei vostri buyer e clienti le giuste emozioni.

Ogni colore possiede infatti una propria personalità in grado, attraverso specifiche associazioni mentali, di evocare in chi osserva emozioni diverse, soggettive e persino contrastanti.

Secondo la psicologia del colore, infatti:

  • Il rosso è associato a passione, energia, amore. È un colore caldo e positivo e viene solitamente utilizzato per richiamare l’attenzione, ma anche il pericolo [non utilizzatelo dunque nelle vostre call-to-action, mi raccomando]; ricrea sensazioni immediate in chi osserva, spingendo all’azione (Un esempio emblematico? Il rosso Coca-Cola).
  • Il Nero è il colore per antonomasia dell’eleganza e del lusso. È utilizzato soprattutto da aziende che vogliono trasmettere qualità, potere, serietà e concretezza.
  • Il blu, nelle sue sfumature, è il colore che evoca calma, stabilità, fiducia e affidabilità. Proprio per questo, nel digitale, è il colore scelto dal comparto tecnologico e data driven (pensate al blu scuro di Samsung o all’azzurro di Intel).
  • Il giallo è il colore che sprizza gioia e buon umore da tutti i pori. Non a caso, è utilizzato per evocare ottimismo e allegria, trasmettendo energia e vitalità (Un esempio è il giallo McDonald’s).
  • Il verde è il colore della natura; è utilizzato perlopiù da brand e imprese che vogliono trasmettere valori legati all’ambiente e alla sostenibilità.
2. Quali sono le caratteristiche e i tratti distintivi del marchio che la vostra brand identity deve riflettere?

I colori scelti per la vostra color palette devono essere in grado di trasmettere appieno non solo i valori fondamentali del brand, ma anche la personalità del marchio, enfatizzando al meglio le sue doti distintive.

Non a caso, secondo molti studi come questo, la scelta dei colori inciderebbe per l’80% sulla riconoscibilità di un marchio.

3. I colori della vostra palette si integrano con coerenza a tutti gli elementi della brand identity?

Non è solo questione di colori più o meno giusti: è necessario considerare anche come questi si sposano con gli altri elementi della visual identity, come il logo, il font e il pittogramma o monogramma utilizzato.

Un utilizzo coerente e calibrato del colore rende infatti il marchio facilmente riconoscibile e memorabile agli occhi del mercato e dei vostri clienti.

4. I colori scelti sono declinabili su tutte le tipologie di supporti, piattaforme e formati utilizzati?

Cruciale, per una resa ottimale della color palette, è considerare anche la versatilità dei colori nelle svariate applicazioni. Alcuni colori possono non rendere bene su schermi digitali, in stampa o viceversa. L’importante è testare i colori in tutti i contesti in cui saranno utilizzati, inclusi i supporti fisici e digitali, al fine di garantire che mantengano la loro efficacia e funzionalità attrattiva.

5. La vostra palette colori differenzia il vostro brand dai concorrenti?

In ultimo, ma non per importanza, verificate che i colori scelti si distinguano dai vostri principali concorrenti e che siano effettivamente riconoscibili.

Ad esempio, potreste ricercare quali sono i colori predominanti per il vostro settore di riferimento e quali quelli utilizzati dai vostri competitor, onde evitare che il vostro marchio finisca per confondersi con quello di altri attori già presenti sul mercato.

La scelta della color palette più idonea a risaltare e distinguere la vostra identità aziendale non può prescindere dunque dal considerare elementi essenziali quali, i valori di brand, il mercato di riferimento, i colori utilizzati dai competitor e le associazioni mentali più frequenti.

Se volete dare quel tocco in più alla vostra identità aziendale e scoprire come far emergere l’anima distintiva del vostro brand, contattateci!

Dal branding al blanding: dove sono finiti i loghi in corsivo?

Colori pop, font sans serif, scritte sgargianti e caratteri retrò: fin dove può spingersi il restyling di un logo?
Accade sempre più spesso che molti marchi scelgano di abbandonare il corsivo e restaurare il proprio logo per renderlo graficamente “più semplice”.
Ma per quale motivo?

Una tendenza piuttosto comune: il blanding

Partiamo dalla sua definizione.

Il blanding – crasi di bland (dall’inglese banale) e branding – è un termine coniato (scherzosamente) per definire la tendenza secondo la quale brand e aziende semplificherebbero il proprio logo eliminando font serif e caratteri decorativi.

E i big dell’high-tech ne sanno qualcosa.

Già da qualche anno, infatti, Google, Airbnb e molti altri hanno cavalcato l’onda di questo trend rendendo i loro loghi più semplici grazie ad uno stile lineare e minimalista, senza grazie né goffrature.

Per quanto però questa semplificazione favorisca maggiore chiarezza e leggibilità, specie sulle piattaforme digitali, in molti temono che tale tendenza possa giocare a sfavore dell’unicità e riconoscibilità del marchio.

Ma passiamo a un esempio più concreto.

Il re-blanding di Johnson&Johnson

Il brand farmaceutico ha di recente deciso di regalarsi una nuova veste grafica, abbandonando lo storico logo che, per ben 135 anni, ha riportato la firma del suo co-fondatore, James Wood Johnson.
In termini di branding, il design calligrafico introdotto nel lontano 1887 ha rappresentato un tratto distintivo, divenendo nel tempo sinonimo di garanzia e affidabilità.

Il restyling

Il nuovo logo – disegnato dalla Wolff Olins, agenzia londinese specializzata in corporate identity – abbandona il tipico carattere corsivo abbracciando un’estetica decisamente più fresca, giovane e pulita.

E non sono mancate le critiche.

Secondo alcuni addetti ai lavori, il nuovo logo sembra mancare di personalità (e identità), in quanto viene meno il carattere distintivo che da sempre ha contraddistinto il marchio sin dalla sua nascita: la firma del suo co-fondatore.

Lo stile minimal dato dal font bastoni rende infatti il logo uguale agli altri, quasi come se l’autenticità fosse stata sacrificata in nome di una maggior semplicità.

Blanding: questione estetica o di riposizionamento?

Quali possono essere dunque le motivazioni che spingerebbero i brand ad assecondare tale tendenza e abbandonare il corsivo?

Alcuni sostengono che la scomparsa del corsivo sia dovuta alla sua incomprensibilità: sebbene siano di più coloro che “lo parlano”, sembra che le nuove generazioni abbiano seria difficoltà a leggerlo. E non è un caso dal momento che il corsivo sarebbe stato escluso da alcuni sistemi di insegnamento scolastici statunitensi.

Ciò avrebbe portato alcuni brand, specie quelli più in voga tra i giovani, a rivedere i propri loghi nel tentativo di avvicinare il brand alle nuove generazioni di consumatori.
Ma non è questo il caso di Johnson&Johnson.
Sì perché il restyling del logo non risponde a mere esigenze “markettare” (passateci il termine) o di target, ma asseconda la necessità ben più evidente dell’azienda di riposizionarsi sul mercato incentrando il proprio core business sull’innovazione medico-farmaceutica.

Il brand ha deciso infatti di abbandonare il settore della Consumer Health di cui si occuperà invece il brand Kenvue, spin-out di J&J.

Dal packaging alle piattaforme online, la semplificazione operata a livello grafico risponde ovviamente anche all’esigenza del marchio di rendersi comprensibile al maggior numero di persone. Se ci fate caso, anche l’ampersand (ovvero la cosiddetta E commerciale “&”) è cambiata: mentre prima era scritta a mano, stilizzata (e quasi irriconoscibile), nel nuovo logo acquista invece piena leggibilità.

Tutte queste scelte, seppur molto criticate, riflettono appieno quello che è l’intento aziendale di J&J: l’abbandono del corsivo permette infatti al nuovo logo di “svecchiare” l’immagine aziendale, rendendola sicuramente più attraente e in linea con il settore medico-farmaceutico di riferimento.

Hai bisogno di un logo che esprima al meglio l’identità della tua azienda
e che solletichi la fantasia dei tuoi clienti?
Contattaci! Saremo felici di aiutarti!

Esempi di renaming: da Sendinblue (ora Brevo) a Twitter (X)

Nessun brand è immortale e nessun brand potrà mai esserlo.
Cambiano i mercati e le loro dinamiche, cambiano i prodotti e le necessità dei loro target: con loro deve evolversi anche un’azienda, nelle sue modalità e nella sua immagine.
A volte è necessario perfino cambiare nome, in una strategia di rebranding totale.
Se il nome è il cuore dell’identità di un brand, è necessario che sia sempre perfetto per ciò che rappresenta.
Per questo, in questo mondo in continua trasformazione, a volte è necessario cominciare una nuova storia ed è giusto che abbia un nome diverso.
Optare per un renaming significa accettare una profonda trasformazione per continuare ad avere impatto sulle persone e sul proprio mercato, influenzando la capacità di successo della propria azienda.

Partiamo dal buon esempio di renaming: Sendinblue diventa Brevo

Ecco l’esempio migliore dell’ultimo periodo.
Il 4 maggio 2023 una delle principali piattaforme di email marketing digitale, Sendinblue, annuncia il suo rebranding in Brevo. Nuovo nome, nuovo logo, nuova palette di colori, nuove funzionalità: insomma, Brevo ha proprio stravolto l’immagine dell’ex Sendinblue con un rebranding rivoluzionario.

«Funzionava. Perché l’ha fatto?»,
Se ve lo state chiedendo, la risposta sta proprio nella dinamicità del mercato: non c’è scelta peggiore di rimanere fermi.
Sendinblue negli ultimi anni aveva infatti registrato un cambiamento nelle esigenze dei suoi clienti, culminato con un importante sondaggio nel luglio 2022. Il risultato? Il 36% degli intervistati negli Stati Uniti desiderava una piattaforma di posta elettronica in grado di facilitare le comunicazioni anche su altri canali, come sms, WhatsApp e chat.

Goal!
Così Brevo ha deciso di fornire una soluzione all-in-one attraverso una suite CRM (Customer Relationship Management) che mantiene la conformità al GDPR: per ora è l’unica piattaforma ad esserci riuscita.
L’azienda che con il nome di Sendinblue era nata per supportare la comunicazione per piccole e medie imprese, si è così aperta a tutte le tipologie d’impresa. E l’ha fatto diventando anche una piattaforma di comunicazione tout court: dalla messaggistica al mail marketing. Con questa scelta Brevo ha anche messo in primo piano l’importanza della relazione, anche nel marketing.
Brevo deriva infatti da Bravo e vuole celebrare il successo dei suoi clienti e la fiducia nella loro potenzialità di crescita.

 

Un renaming meno riuscito: Twitter diventa X.

twitter-x

Anche a voi vi è capitato di sbloccare il cellulare, ritrovarvi improvvisamente un’inquietante X nera tra le app e chiedervi: “ma l’ho scaricata io?”. È successo a fine luglio ed è solo l’ultima tra le pessime mosse di Elon Musk, proprietario di Twitter da ottobre 2022 (oltre che di Tesla e SpaceX).
Prima infatti non solo aveva consentito di comprare la spunta blu, generando una discreta confusione sull’autenticità dei profili, ma aveva anche cancellato molti dei sistemi di moderazione dei contenuti, reintegrando persone che avevano pubblicato contenuti razzisti o antisemiti.

La chiamano Enshittification

Dal 2022 la user experience su Twitter è talmente peggiorata da portare il social all’enshittification, ovvero a quell’ «insieme di decisioni che porta una piattaforma di successo a diventare progressivamente meno piacevole e utilizzabile per i suoi utenti, fino a entrare in crisi», come ha evidenziato Il Post [https://www.ilpost.it/2023/08/03/enshittification/].
Le funzionalità per un utilizzo gratuito sono ridotte al minimo e l’abbonamento premium X Blue costa ben 10 euro al mese. Ora sembra che Musk voglia farne un’app per tutto, sulla scia della cinese WeChat: si potrà usare X per prenotare dal dentista o per farsi portare una pizza a casa. Addirittura sembra che Musk stia puntando a fare concorrenza a un’altra sua creatura: PayPal,

«And in case you didn’t get that: Twitter»

Ci scherza Stephen King, ma sottolinea inevitabilmente con il suo tweet che qui non si tratta di cominciare una nuova storia, ma di far morire la precedente.
X cancella ciò che è stato, non si potrà più twittare o ritwittare perché Twitter non esiste più. È stravolto in ogni sua forma e la sua brand identity ha cambiato totalmente carattere: dalla leggerezza del cinguettio dell’uccellino azzurro a una pesante X nera; da un social spopolato per le notizie e il microblogging a un’app che si rivolge al settore commerciale e bancario.

Ora sorge un’unica domanda: riuscirà Musk a convincere della sua app un target che era lì per motivazioni molto diverse da quelle che X è oggi?
Staremo a vedere, ma di certo non siamo fiduciosi.

Desideri maggiori informazioni sul renaming o un’analisi strategica sulle possibilità del tuo brand?
Contattaci!
Ti diremo la nostra.