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Marzo 8, 2022

I competitor – Again

Sarò onesto: sono un competitivo. 

Ho imparato a competere fin da piccolo, nello sport, prima nel nuoto a livello agonistico poi nella Muay Thai. Vincere mi è sempre piaciuto. 

Grazie Francè, a chi piace perdere? 

Ho iniziato l’agonismo con il nuoto quando ero poco più di un bambino e quando arrivavo secondo o peggio terzo, tornavo a casa insoddisfatto. Cambiando sport come si dice, altro giorno stessa storia. Avevo 16 anni e nonostante fossi più cresciuto, ho rivissuto le medesime sensazioni di quando ne avevo 10. Nel momento in cui mi capitava di perdere la cosa non mi piaceva affatto e giù con allenamenti più pesanti. 

Grazie alla competizione nelle arti marziali però, ho scoperto un’altra variabile che da piccolo non ho mai avuto modo di considerare e che era portatrice di rabbia e frustrazione, barare. Quando incontravo avversarsi di una categoria decisamente sopra la mia, ricordo paura mista a delusione e collera. Imbrogliare in genere è sbagliato, per lo meno per me, l’inganno leva il gusto del reale, oltremodo farlo con atleti che non gareggiano a livello professionale è davvero ridicolo.

Comunque. 

Arriva il 28 marzo 2010 e sono di fronte all’ennesimo avversario con qualche kilo in più dei miei. L’ho sopraffatto e ho vinto gli open della mia categoria. Sono arrivato primo. 

Ecco il passaggio che ha prodotto il click nella mia mente. Torno a casa pieno, soddisfatto e per i primi giorni avvenire, onesto, camminavo a due metri da terra. 

Un piccolo Hulk!

Torno in palestra e riprendo gli allenamenti, e a poco a poco, la sensazione di smarrimento, vuoto, prende il posto delle altre. 

Dove sono finito?

A trovare quella competizione nel lavoro, un po’ recidivo lo ammetto. Altro giorno, stessa storia. Perdi, sei amareggiato, vinci sei soddisfatto e poi arriva il vuoto, in poche parole sei dentro la ruota del criceto che gira in eterno sempre alla stessa maniera.

Oggi posso ufficialmente dire che non credo più nella competizione, intesa come battere qualcuno e arrivare prima di lui. Quel tipo di competizione non esiste perché dopo arriva il vuoto, non è sana per me. Anche con la promessa a monte che la sfida sarà accettata con estrema sportività, quando arrivi secondo rosichi e inizi ad osservare il lavoro dell’altro trovando mille giustificazioni per la sua performance migliore della tua. Quante volte hanno sminuito il mio operato e quante altre mi è capitato di sminuire quello altrui.

Oggi non faccio più compagnia a quel criceto. Corro in un percorso lineare con a fianco il mio unico vero competitor, me stesso. Solo così avrò modo di crescere veramente e senza sosta.

Morale della favola, i competitor non sono aziende da battere o superare, è inutile gettare fango su di essi, giudicarli davanti ai nostri clienti. Non è proficuo per noi stessi e per la nostra azienda. 

In tutti i progetti strategici analizzo e inserisco report sui competitor dell’azienda che sto servendo, li studio perché sono fonte di notizie dalle quali si possono prendere validi spunti osservando i loro movimenti. Non occorre decifrare la loro strategia così da poterli superare. In primo luogo, ogni azienda è unica e copiare il lavoro altrui è un errore madornale, ci sposta dal nostro tracciato portandoci in posti che non conosciamo dove il rischio di farsi male è molto alto. In secondo luogo, non potremmo mai capire al 100% la loro strategia. 

Quello che possiamo augurarci è di trovare delle informazioni che ci aiutano ad evitare errori nella nostra strategia. 

Ecco l’unico motivo davvero importante per il quale dobbiamo studiare i competitor analizzandoli al meglio.

L’unica vera sfida rimane con noi stessi.

Non trascurabile è la corretta scelta dei canali per la nostra comunicazione, nei quali è attivo e assetato il nostro pubblico, il nostro potenziale cliente. Ne parlerò nel prossimo articolo: “Rendere proficua la nostra comunicazione con i canali corretti”.

A presto e buona giornata